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Vincolo MiBact, ‘bocciato’ il ricorso gerarchico del Comune di Pomezia: “E’ inammissibile”

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E’ stato bocciato clamorosamente dal Ministero dei Beni culturali il ricorso gerarchico presentato dal Comune di Pomezia il 21 dicembre 2017 avverso il provvedimento di vincolo denominato “Ambito delle tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia ed altre della Campagna Romana nei Comuni di Pomezia ed Ardea”. Il vincolo MiBact, lo ricordiamo, era già stato ufficializzato circa un mese prima, il 24 novembre, sulla Gazzetta Ufficiale n.276 anno 158°, portando a dama il provvedimento avviato dal Ministero nel mese di maggio. 

Un atto, quello del vincolo MiBact posto a tutela del territorio di Pomezia e Ardea, mai digerito dal Comune di Pomezia che si era messo subito in moto per cercare di contrastare il vincolo con ogni mezzo. Se da un lato l’amministrazione a guida 5 stelle si era infatti dichiarata “in sostanza” a favore del vincolo MiBact dall’altro, nei fatti – chiedendo un ridimensionamento dell’area e delle modifiche ben specifiche (come ad esempio lo svincolo del lotto dove dovrebbe sorgere Cogea, ndr) – ne ha da sempre messo in discussione natura ed efficacia in nome “dello sviluppo economico ed occupazionale dell’area”. 

Il provvedimento del ministero di fatto, andando a tutelare l’unicum paesaggistico di grandissimo valore storico” che l’area dei 2.000 ettari rappresenta, blinda il territorio vietando “nuove costruzioni e attività industriali in quel territorio” in una zona già ampiamente sfruttata indiscriminatamente negli anni. E per questo è stato attaccato con decisione per chi – e parliamo non solo di privati ma anche di politici – in quella zona vorrebbe continuare a vedere solo capannoni, industrie pesanti (e di rifiuti), impianti a R.I.R. e null’altro. In barba a natura e storia.

Tornando alle battaglie portate avanti dal Comune di Pomezia avverso il vincolo Mibact, tra le strade intraprese dall’allora Sindaco Fucci avverso il procedimento ministeriale, ma non l’unica, c’era stata, per l’appunto, anche quella del ricorso gerarchico (un atto con cui un ente contesta la decisione di un ente superiore, ndr) che l’allora primo cittadino Fucci aveva definito come un mero “ricorso interno, una procedura tra uffici che non va a modificare la nostra linea di pensiero che abbiamo espresso più volte alla popolazione”. 

L’atto era stato inoltrato dall’allora giunta attraverso l’avvocato Leoncilli ma è stato definito “inammissibile” dal Ministero in quanto tale tipo di ricorso non può essere presentato contro un decreto ministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (come quello in oggetto, ndr) che è già “un atto definitivo”; senza contare che – proseguono le motivazioni – “l’istituto del ricorso gerarchico presentato avverso vincoli paesaggistici non è contemplato dalla disciplina contenuta nella parte terza “beni paesaggistici del D.lgs n.42/2004 “Codice dei beni culturali e paesaggistici”. “Avverso tali atti”, chiosa la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e paesaggio, “sono ammessi i ricorsi giurisdizionali al Tar oppure al Presidente della Repubblica”.

Vincolo MiBact: ricorso gerarchico? Un atto illogico costato oltre 12mila euro

Insomma, un’iniziativa, se davvero lo scopo del Comune di Pomezia era quello di far valere le proprie posizioni, che si rivela oggi del tutto inutile e illogica dal punto di vista tecnico-giuridico. Peccato però che, a causa di tale procedimento, siano stati spesi circa 12.500 euro di soldi pubblici che potevano essere sicuramente destinati ad altro, se non altro perché era una battaglia già persa in partenza. Possibile che negli uffici comunali nessuno sapesse questa cosa? Ci pare davvero strano. Ma se così fosse i dubbi si sposterebbero semplicemente altrove: chi ha ricevuto l’incarico di produrre tali incartamenti, non sapeva a cosa sarebbe andato incontro? E allora ribadiamo il medesimo commento di cui sopra.

Senza contare che quei 12mila euro confluiscono in quei famosi 65mila euro piovuti nelle tasche dello stesso avvocato con affidamenti diretti sempre per lo stesso motivo: contrastare il vincolo chiedendone un significativo ridimensionamento.

Una scelta, quella del Movimento 5 Stelle prima con Fucci e proseguita poi con Zuccalà, secondo noi assai discutibile già sul piano ideologico – che ignora peraltro la posizione più volte sostenuta da cittadini e associazioni con raccolte firme e di fondi – figuriamoci su quello economico considerando tutti i problemi che affliggono la città: era infatti così necessario spendere quasi 70 mila euro (di cui 12mila totalmente gettati al vento come visto) per tentare di abbattere – è inutile girarci attorno – un provvedimento a tutela di un patrimonio definito un “unicum paesaggistico di grandissimo valore storico e paesaggistico dal Ministero” schierandosi dalla parte dei privati? Senza contare che, qualora il Vincolo dovesse essere bloccato, si spalancherebbero le porte a tutta una serie di impianti (parliamo almeno di tre centrali a biogas di futura o possibile realizzazione) per il trattamento dei rifiuti, con Cogea in testa, oltre a tutta una serie di capannoni, l’ampliamento dell’interporto e una nuova area per lo scalo ferroviario.

Appuntamento al 16 ottobre per i destino del vincolo MiBact: sentenza entro 90 giorni

In tal senso sarà decisiva la data del prossimo 16 ottobre quando il Tar si esprimerà nel merito intanto su tre dei ricorsi presentati avverso il vincolo (Cogea, Fial, Elma Real Estate srl) oltre che sulla Valutazione d’Impatto Ambientale rilasciata a luglio 2017 a Cogea per la quale Latium Vetus, il CdQ Santa Palomba e 15 cittadini avevano chiesto e ottenuto la sospensiva. E il Comune di Pomezia sarà di nuovo presente al fianco dei privati (anche se per ribadire la sua posizione), tra cui Cogea, che chiedono lo stralcio del provvedimento; dall’altra parte, a sostegno del ministero, troviamo nuovamente Latium Vetus e il Comitato No Biogas Pomezia. 

 

 

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