Termovalorizzatore Roma, entriamo nel merito dell’impianto che dovrebbe sorgere a Santa Palomba entro il 2026. Quale impatto ambientale avrà? Quali sono i rischi per la salute dei Comuni di bacino? Che tipo di rifiuti saranno conferiti al suo interno? E in quali quantità?
Ne parliamo con Luca Andreassi, Professore di Ingegneria all’Università di Tor Vergata, esperto di gestione dei rifiuti e Vicesindaco di Albano.
Termovalorizzatore Roma: l’intervista a Luca Andreassi
Professore finalmente abbiamo i dettagli tecnici del termovalorizzatore di Roma. Quali sono i punti secondo lei più critici del progetto che il Campidoglio vuole realizzare?
“Il punto più critico, ma lo si sapeva da prima che uscisse il bando, è la tecnologia utilizzata. La termovalorizzazione dei rifiuti attraverso la combustione del tal quale, con produzione di energia elettrica e termica, è una soluzione tecnologica consolidata ed era all’avanguardia un paio di decenni fa. L’orientamento attuale e lo stato dell’arte della tecnologia, invece, sono diretti verso tecniche di ossidazione parziale e riciclo chimico. Tecniche, cioè, in cui il processo avviene senza combustione producendo, anziché energia termica, dei gas: etanolo, metanolo, idrogeno. Gas che possono essere stoccati e utilizzati altrove. Peraltro, la tecnica del riciclo chimico è perfettamente integrata con la raccolta differenziata, in quanto entrambe mirano al recupero di materia. Infine, la quantità di CO2 prodotta da questi impianti è molto minore e, soprattutto, facilmente separabile e anch’essa riutilizzabile. Dato fondamentale per la gestione economica di questi impianti, visto che da qui a tre anni anche i termovalorizzatori saranno chiamati a pagare proporzionalmente alla quantità di CO2 emessa. Al punto che in fretta e furia il Comune di Roma è stato “costretto” ad inserire nel progetto un sistema di separazione della CO2, definito “sperimentale” con efficienza massima del 90%. Non un granché“.
Lei ha già avuto modo di soffermarsi sul problema delle emissioni che l’impianto produrrà sollevando più di una perplessità. Cosa può dirci del possibile impatto ambientale della struttura?
“Gli attuali sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti garantiscono un’ottima depurazione dei gas combusti dagli inquinanti principali prodotti nella combustione. Inoltre, i numerosi controlli a cui sono soggetti fanno sì che l’efficienza di tali sistemi sia continuamente certificata e verificata. Non è questa la principale ragione per essere contrari al termovalorizzatore. Io ritengo che sia un impianto sbagliato in quanto non è la soluzione migliore per chiudere il ciclo dei rifiuti e costruire una reale economia circolare. Tanto che anche l’Unione Europea non ritiene che la termovalorizzazione sia la migliore soluzione da attuare nella gestione dei rifiuti. Lo si evince dalla gerarchia delle azioni suggerite (la termovalorizzazione sta in fondo). Lo si evince dal fatto che gli impianti di termovalorizzazione, in nome del principio di matrice europea “Do Not Significant Harm” (DNSH), i termovalorizzatori sono categoricamente esclusi dalle tipologie di progetti finanziabili, perché ritenuti responsabili comunque di un significativo impatto ambientale. Insomma, neanche un euro dei fondi PNRR è destinato alla termovalorizzazione. Per di più, uno dei principi fondamentali europei è la prossimità. Ovvero fare in modo che i rifiuti siano trattati in prossimità di dove vengono prodotti e non “viaggino troppo”. L’impianto da 600.000 tonnellate a Santa Palomba comporta inevitabilmente centinaia di autoarticolati viaggianti per molti chilometri su e giù per la Città”.
La realizzazione di un’enorme fornace per buttare dentro “la qualunque” secondo lei avrà ripercussioni nell’opinione pubblica circa l’esigenza di fare ancora la raccolta differenziata, anche nei Comuni di bacino?
“Ovviamente. Il bando prevede (cito) che “Per tutta la durata della convenzione (33 anni e 5 mesi) il soggetto gestore del servizio di raccolta dei rifiuti è obbligato a conferire presso il termovalorizzatore un quantitativo di rifiuti pari a 600.000 ton/anno”. Anche se l’impianto dovesse fermarsi. Altro che integrazione con la raccolta differenziata, dunque. Se Roma dovesse diventare virtuosa e producesse meno rifiuti, dovrebbe andare a prenderli nell’area vasta per garantire l’obbligo di conferimento. È evidente che la scelta più conveniente sarà non differenziare e continuare a produrre rifiuti in proprio. E poi, basta andare a vedere cosa è successo nel tanto decantato termovalorizzatore di Copenaghen”.
Ci dica lei cosa è successo.
“Copenhill, sebbene al punto di vista ambientale possa essere certamente considerato un modello virtuoso di termovalorizzatore (stando ai dati delle emissioni pubblicati), in realtà mostra più ombre che luci.
Innanzitutto, la sua capacità di incenerimento spropositata rispetto alle esigenze (sarebbe così anche quello di Santa Palomba se un giorno Roma facesse la raccolta differenziata raggiungendo i risultati previsti dall’Unione Europa). Dunque, per funzionare a pieno regime ed essere quindi sostenibile dal punto di vista economico deve importare rifiuti dall’estero, da altri Paesi europei. E, nonostante ciò, spesso si trova a funzionare in modo parziale, per mancanza di spazzatura. Nel 2019 l’intero Paese ha importato rifiuti per una quantità pari a oltre 1,2 milioni di tonnellate, una quantità aumentata negli anni. Ma relativamente alla gestione virtuosa dei rifiuti, il confronto della Danimarca con gli altri Paesi è impietoso: la Danimarca è campione nella produzione dei rifiuti urbani in Europa (record assoluto), attestandosi su una media di circa 845 kg per abitante. Ogni danese produce quindi ben 340 kg di rifiuti in più rispetto a un cittadino europeo, con un tasso di riciclo dei rifiuti urbani che supera a malapena il 40%. No, il termovalorizzatore non è compatibile per logica economica con la raccolta differenziata. Chi dice il contrario mente“.
Il termovalorizzatore è stato osteggiato da numerose Associazioni, alcuni ricorsi sono ancora in essere, e fin qui abbiamo assistito a diverse manifestazioni di protesta dei cittadini. Le chiedo, visto che Albano c’è già passata con il caso Roncigliano, ci sarà modo per i Comuni confinanti di contrastare l’iter per la sua realizzazione?
“Difficile dirlo. È una partita che si gioca su vari livelli. Mi pare che l’iter sia in stato avanzato. E l’impegno economico, oltre 7 miliardi e 500 milioni di euro, sia così ingente da rendere difficile ipotizzare battute di arresto. Dalla prima lettura del bando, mi pare ci siano vari aspetti che meritano di essere approfonditi dal punto di vista giuridico, soprattutto in materia di tutela della libera concorrenza. Vedremo se ci saranno ricorsi“.
“Per rifornire il termovalorizzatore di Roma serviranno almeno 150 camion al giorno”
La viabilità, tornando al progetto, sembra non preoccupare il Sindaco Gualtieri: lei che idea si è fatto in merito?
“Che decisamente la viabilità non è nei pensieri di Gualtieri, visto che nel bando il tema è completamente ignorato. Eppure, un impianto di queste dimensioni mobilita oltre 150 mezzi pesanti al giorno in entrata e in uscita. Ritenere che questo non rappresenti un problema è un errore enorme. Peraltro, il Sindaco Gualtieri aveva fatto una “mezza” promessa al Governatore Rocca, relativa al trasporto su ferro. Invece niente di tutto ciò. Alla faccia del tanto declamato principio di prossimità dell’Unione Europea”.
Il Comune di Roma parla di una procedura che si concluderà, lavori compresi, entro il 2026. Secondo lei questo crono programma è attendibile?
“I tempi medi di realizzazione per impianti del genere oscillano tra i 5 e i 6 anni. Ma se ne è accorto anche Gualtieri. Se nelle conferenze stampa si continua a parlare di 2026, dal bando si evince chiaramente che la messa in funzione sarà per il 2028. A voler essere ottimisti, aggiungo io”.
Chiudiamo con una riflessione. Nel maggio 2022 una nostra intervista con lei titolava: “Termovalorizzatore? Conseguenza di anni disastrosi nella gestione dei rifiuti”. È ancora su questa posizione?
“Assolutamente sì. La cosa che trovo difficilmente comprensibile è che a questi decenni disastrosi non si voglia rispondere con una visione chiara e con una soluzione avanzata tecnologicamente, sostenibile ambientalmente ed economicamente e in linea con le direttive dell’Unione Europea. Invece siamo costretti a discutere di una tecnologia che all’avanguardia lo era negli anni ’90. Mi pare che sia la certificazione di un fallimento”.