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Le slot machine e il paradosso del giocatore: come l’algoritmo influenza la percezione di vincita e perdita

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Le slot machine sono indubbiamente uno dei giochi da casinò preferiti a livello mondiale. Fin dalla loro ideazione hanno conquistato milioni di giocatori, affascinati dalle misteriose dinamiche sottese al loro funzionamento, e a tutt’oggi continuano a dominare il panorama mondiale del gambling venendo riproposte in formule sempre più innovative.

Proprio per via delle imperscrutabili meccaniche di questo gioco, sono moltissimi i giocatori che si lanciano alla ricerca di trucchi per vincere alle slot machine, inconsapevoli del fatto che i software di questi ultramoderni apparecchi di gioco sono tarati per restituire risultati del tutto casuali.

Una volta definita la percentuale di payout – il ritorno in premi al giocatore, anche codificato con l’acronimo RTP (Return To Player) – e la volatilità della slot machine stessa – cioè decidere se pagherà più spesso ma meno o meno spesso ma somme più alte – il tutto viene affidato a un algoritmo.

Il paradosso del giocatore

Ed è qui che entra in ballo il paradosso che investe il giocatore. L’esperienza di gioco può, infatti, essere influenzata dall’algoritmo che regola il funzionamento delle macchine e condurre il giocatore a una percezione distorta di vincita e perdita. Si tratta di un fenomeno psicologico che si verifica quando un individuo interpreta in modo errato i risultati di una serie di eventi in realtà indipendenti fra loro. In altre parole, il giocatore tende a credere che la probabilità di una vincita sia aumentata dopo una serie di perdite e viceversa.

Ciononostante, nelle slot machine il risultato di ogni giro è determinato da un algoritmo casuale, che dunque non tiene affatto in considerazione il risultato precedente. Le sequenze di vincita e perdita si manifestano a prescindere da quanto appena avvenuto e dalla sequenza precedente. In questo senso, non deve neppure trarre in inganno la percentuale di RTP che abbiamo menzionato in precedenza: la stessa non è riferibile a una sola sessione di gioco o alla singola esperienza di un solo utente. Si riferisce, invece, a un numero altissimo di sessioni di gioco, dunque la sua percentuale dev’essere letta in questo senso.

Proprio queste caratteristiche dell’algoritmo, se male interpretate dal giocatore abbattuto dalle mancate vincite, possono condurre a un vero e proprio paradosso: lo stesso calcolo matematico che assicura l’imparzialità al giocatore viene ritenuto truccato o mendace poiché non ha ancora restituito vincite. Si tratta, come abbiamo detto, di una percezione distorta che può diventare anche molto pericolosa in quanto può condurre a un comportamento patologico dell’utente.

Ecco perché è importante comprendere il funzionamento alla base degli intrattenimenti che si scelgono, leggendo attentamente istruzioni e indicazioni dei concessionari: occorre giocare, consapevoli che la probabilità di vincita è sempre la stessa a ogni giro.

Algoritmi e raccolta dati: come la pubblicità viene personalizzata sulle nostre preferenze

Quello delle slot machine non è ovviamente l’unico caso in cui vengono applicati gli algoritmi, che oramai dominano l’universo web. Il digital marketing ne fa ampio uso, nel caso più lampante per la pubblicità personalizzata. Anche in questo caso, quando troviamo un annuncio che sponsorizza proprio il capo di abbigliamento che stiamo cercando o lo spazzolino elettrico che vorremmo acquistare, ci troviamo a dare spiegazioni fallaci del fenomeno. Magari pensando che i nostri dispositivi ci ascoltino.

In realtà, come spiega Il Post in questo articolo, non ce n’è affatto bisogno. Le società che si occupano della pubblicità online sfruttano infatti informazioni molto più accessibili per calibrare le offerte e gli annunci in base ai nostri interessi. E lo fanno mediante i dati che noi stessi forniamo loro indirettamente.

Il sistema più diffuso è quello dei cookie e dei cookie di terze parti. Grazie a essi e ad altri sistemi di tracciamento, le piattaforme riescono a farsi un’idea – anche molto accurata – delle nostre abitudini, delle preferenze e dei nostri gusti. E così riescono a proporci un annuncio che mostra esattamente il prodotto che abbiamo intenzione di comprare.

Da non sottovalutare che queste informazioni non vengono rilasciate solo nel momento in cui navighiamo nel web, ma anche mentre utilizziamo le applicazioni, attraverso le reti wi-fi a cui ci colleghiamo, dal tipo di dispositivo di cui fruiamo per la ricerca, etc.

Anche in questo caso, anziché fornire una spiegazione razionale e riconoscere che quell’annuncio è probabilmente frutto di ricerche svolte nel tempo – di cui magari neppure abbiamo memoria – o della visualizzazione di una determinata pubblicità sulla quale ci siamo soffermati, addiveniamo a spiegazioni più contorte, ma che in quel momento ci sembrano più calzanti. Come quella di essere spiati.

A volte capita di visualizzare la pubblicità di un prodotto che siamo sicuri di non aver ricercato online, ma di cui ci ha solo parlato un’altra persona. In quel caso, l’annuncio ci viene mostrato proprio perché quella persona aveva effettuato una ricerca su quel preciso prodotto.  Tramite il tracciamento è infatti possibile dedurre che due utenti fossero nello stesso luogo nello stesso momento – magari per via della stessa connessione dati utilizzata – e dunque, nell’ipotesi che queste due persone si conoscano, la pubblicità viene mostrata all’interlocutore non interessato al prodotto, ma che può aver ricevuto informazioni da esso da parte del soggetto che aveva effettivamente avviato la ricerca online.

E, ovviamente, notiamo quando questo accade e iniziamo a cercare spiegazioni più o meno plausibili, come quella di essere ascoltati. Di contro, parliamo di una moltitudine di prodotti, servizi e luoghi senza però che ci venga poi proposta alcuna pubblicità in merito: ma di questo non ci accorgiamo.

Anche questo fa parte della distorsione della nostra percezione.

 
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