Giorgio Napolitano è morto a 98 anni. L’ex Presidente della Repubblica ha avuto una vita ricca e soddisfacente, ma anche qualche scontro.
Giorgio Napolitano è morto a 98 anni, negli ultimi giorni le sue condizioni si erano aggravate, l’ex Presidente della Repubblica ha chiuso gli occhi in una clinica romana. L’addio è fragoroso anche e soprattutto per quello che è stato politicamente, ma anche sul piano umano. Ha rappresentato la Repubblica Italiana – ricomprendone la Presidenza – per ben due volte. Nel 2006 e nel 2013. Mentre in Parlamento risiedeva professionalmente, ma ancor più per tempra morale, dal 1953.
Uno degli ultimi dirigenti del Partito Comunista, fra quelli della cosiddetta “vecchia guardia”, con lui Occhetto e Aldo Tortorella. Da tempo era malato, ma combatteva con la stessa determinazione alla quale si approcciava quando c’era da fare politica. Nel suo caso, quasi sempre. Diceva che la politica è vita: per lui lo è stata davvero. Ha svolto un ruolo di rilievo nella Prima e nella Seconda Repubblica. Scegliendo alcune tappe simbolo della sua florida carriera è impossibile non citare quando, negli anni Ottanta, dopo la morte di Giorgio Amendola, era diventato uno dei capi della più nota “area migliorista” del PCI.
Clima, il Sindaco Gualtieri garantisce: “A Roma emissioni giù del 66% entro il 2030”
Addio a Giorgio Napolitano: aveva 98 anni
Sulle orme di Macaluso, Berlinguer e Ingrao. Quest’ultimo ha coniato il termine “miglioristi”: coloro che volevano inserire il riformismo e il progressismo all’interno del Comunismo più avanguardista. Una serie di esigenze che facevano i conti con il mondo in procinto di cambiare. Leader nato, tra i pochi in grado di parlare Inglese quando farlo voleva dire avere una referenza in più. Oggi dovrebbe esser prassi. Durante la sua Presidenza della Repubblica ha cercato di condurre l’Italia all’interno del mondo globalizzato.
Vicino ai giovani, in cui si rivedeva quando – nello scegliere il Comunismo – era andato contro il volere del padre: “Fate sempre la vostra parte”, diceva. Parole che ha ripetuto anche in uno dei suoi ultimi discorsi di Capodanno. La sua eredità è all’interno di una determinata filosofia di vita che pone la dialettica come antitesi alla retorica, l’analisi come risposta alla sintesi, a difesa di un ideale. Nonostante le minoranze e le esigenze degli schieramenti: “Gli unici confini che dobbiamo avere – era solito sottolineare – sono quelli tra la nostra coscienza e il mondo che viviamo. Far sì che siano il più sottili possibile”.