Come promesso, riportiamo il testo della sentenza della Tangentopoli pometina riguardante il filone di inchiesta dell’Arcalgas.
Passando alla trattazione del reato di cui al capo E, imputati sono Pastina Enrico, Manzi Roberto, Toce Piero, Mauro Vincenzo, unitamente a Valentini Paolo, Caponetti Claudio, Penna Gaetano, Ciccolini Massimo, tutti separatamente giudicati. Il Pastina era socio e Direttore Generale dell’Arcalgas S.p.A. Concessionaria della gestione dell’acquedotto e del metanodotto nel territorio del Comune di Pomezia; il Manzi era Presidente del Consiglio Comunale; Mauro e Toce erano Consiglieri comunali: agli imputati il PM contesta di aver adottato la delibera n. 168 del 20/12/00 che recepiva lo schema di transazione tra Regione Lazio e Comune di Pomezia, transazione a seguito della quale si accollava indebitamente al Comune un debito pari a 1.320.912.858 lire. Il teste Nardi, Consigliere comunale del gruppo di A.N. Del Comune di Pomezia dal 1999 al 2000, ricorda che prima la Casmez (fino al 1983) e poi la Regione Lazio fornivano acqua a Pomezia per il tramite di ARCALGAS; che il contenzioso con la società citata risaliva agli anni settanta: che l’acqua fornita era “aggressiva” e che si verificavano perciò perdite e danneggiamenti alla rete idrica, in conseguenza dei quali la società sosteneva di non dover pagare l’acqua fornita, ma solo quella rilevata dai contatori, al netto cioè delle perdite derivanti dal danneggiamento della rete idrica. Riferisce il teste che la Regione Lazio chiese il pagamento di 15 miliardi di lire di cui circa 5 miliardi per interessi in relazione al periodo 1983-1996; che in data 20/12/00 si discusse in Consiglio della transazione tra Comune di Pomezia e Regione Lazio, transazione alla quale il Nardi era contrario perché vi era un arbitrato in corso, perché non erano regolamentati i rapporti per il periodo 1997/2000, perché per anni ARCALGAS non aveva pagato quanto dovuto e nonostante ciò il Comune si accollava il debito citato nel capo di imputazione. Afferma il teste che il riconoscimento del debito di 5 miliardi effettuato dalla società nei confronti del Comune nell’atto di transazione era – se si è ben intesa la deposizione del teste – di assoluta convenienza per ARCALGAS, non corrispondente al dovuto poiché erano molti anni che ARCALGAS non pagava la fornitura di acqua. Per la Regione Lazio è stato escusso il teste Gaglioli, funzionario dell’Area Idrica della Regione; il teste ha riferito che Pomezia, così come altri Comuni, non pagava la fornitura di acqua e che a fronte dei solleciti effettuati dall’ente erogatore, il Comune aveva iniziato a formulare contestazioni; che l’Avvocatura di Stato consigliò una transazione e che vi furono tre riunioni anche con Aureli, Pastina e Celori per discutere della materia. Il teste Gadola ha riferito che il Sindaco gli sottopose lo schema di transazione ed il Gadola rilevò che mentre l’accollo da parte di ARCALGAS conteneva la specificazione “impregiudicate le ragioni di credito” che fossero state riconosciute dal Collegio Arbitrale, analoga previsione non era contenuta per la parte riguardante il Comune ed il teste temeva che l’accollo potesse essere interpretato come un riconoscimento del debito. Il teste Di Battista è stato il legale esterno del Comune di Pomezia in sede di giudizio arbitrale: spiega il teste che la Regione Lazio forniva acqua al Comune, che la dava ad ARCALGAS perché la distribuisse ed incassasse il corrispettivo dagli utenti, riversando le somme al Comune che, a sua volta, le avrebbe corrisposte alla Regione. Ricorda il teste che la società citata sosteneva che l’acqua fornita era aggressiva, danneggiava i tubi e addebitava le spese per le riparazioni al Comune; il Comune sosteneva che la società distributrice avrebbe dovuto far analizzare l’acqua e che tali diverse posizioni avevano dato origine a varie controversie. Ricorda il Di Battista che in un giudizio la Suprema Corte aveva affermato che era compito del Comune far analizzare l’acqua e che quindi il Comune era sempre rimasto soccombente. Nel 1999 il Comune avvalendosi della clausola arbitrale aveva deferito tutte le controversie al Collegio Arbitrale e nel 2000 a seguito della delibera che approvava lo schema di transazione, il Sindaco Aureli sottopose lo schema della transazione al teste. Spiega il teste che, poiché ARCALGAS per tutti i motivi sopra espressi non pagava la fornitura di acqua, il Comune aveva una forte esposizione debitoria nei confronti della Regione, la quale, a sua volta, si diceva non interessata alle controversie tra la Società ed il Comune e reclamava quanto dovuto, circa 15 milirdi di lire, dei quali oltre 4 per interessi. ARCALGAS aveva già corrisposto 4 o 5 miliardi e con la transazione si impegnava a pagare i residui 5 miliardi, mentre la Regione rinunciava agli interessi. Riferisce il teste che residuavano 1.329.000.000 di lire per i quali si prevedeva, in attesa della decisione degli Arbitri, che li avrebbe versati la Società se gli Arbitri avessero deciso che della somma era debitrice ARCALGAS e che, se invece il Collegio avesse stabilito che il debito era del Comune, tale debito sarebbe stato posto in compensazione con i consumi del Comune. Peraltro poi lo stesso teste riferisce che la delibera stabiliva che la somma da ultimo citata sarebbe stata intanto corrisposta dal Comune, in attesa dell’esito dell’arbitrato. Appare confermare il teste che nel lodo arbitrale vi è un errore (cfr. anche la deposizione del teste Auricchio) quando gli Arbitri danno atto che con la transazione ARCALGAS si è accollata il debito per 6.300.000.000 di lire poiché in realtà l’accollo è pari a 5 miliardi, che nel lodo si stabilisce che la Società vantava un credito di 1.600.000.000 di lire e che la convenzione (trentennale) in forza della quale ARCALGAS distribuiva l’acqua nel territorio del Comune decorreva dal 1989. La decorrenza della convenzione era – spiega Di Battista – altro punto controverso poiché nella convenzione originaria era stabilito che il dies a quo era quello del collaudo, però mai avvenuto: il teste riteneva che la decorrenza dovesse individuarsi nel momento iniziale della esecuzione della prestazione (1974-1975) e tale tesi aveva sostenuto nel corso del giudizio arbitrale, tesi però non accolta dagli Arbitri. Ricorda il teste che, successivamente, la Società aveva rinunciato al credito indicato nel lodo e ciò non tanto perché erroneamente attribuito, quanto perché il Comune a fronte di quella rinuncia aveva, a sua volta, rinunciato ad impugnare il lodo che conteneva una statuizione di grande rilevanza per ARCALGAS, quella cioè relativa alla decorrenza della convenzione giacché, dovendo la Società cedere il contratto, aveva interesse a mantenere ferma quella decorrenza che le consentiva di portare “in dote” all’acquirente una convenzione di durata (gran lunga) maggiore. Valentini Paolo, originario coimputato che poi ha patteggiato, ha affermato che Mauro gli dette 5 o 10 milioni per la vicenda ARCALGAS e da parte della Società; che Mauro era preoccupato che Aureli si muovesse “da solo in poche parole sul tema” e cioè che avesse percepito una tangente e non la dividesse con gli altri, avendo il Mauro anche il compito di distribuire le somme ricevute in relazione alla vicenda tra i consiglieri. Il PM contesta al Valentini le dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio precedentemente reso: il dichiarante in quella sede aveva detto invece che Mauro era seccato con Aureli che era “troppo tenero” con Pastina, mentre Mauro riteneva che la somma da richiedere per la corruzione dovesse essere più alta e Valentini dice di non ricordare bene. D’Alessandri, in sede di incidente probatorio, ha riferito che Toce era amico di Pastina ed era consigliere del suo gruppo politico; che Toce gli portò un contributo elettorale in busta chiusa di 4 milioni da parte di Pastina; che D’Alessandri incontrò Pastina e gli sorrise per ringraziarlo e Pastina annuì sorridendo come a dire “prego”; che Schiumarini e Celori caldeggiarono la stipulazione della transazione. In incidente probatorio, Aureli ha affermato che fu Pastina che gli propose un contributo elettorale per consolidare la maggioranza che si stava occupando della risoluzione del problema, perché se la maggioranza fosse stata sfiduciata ciò avrebbe vanificato il lavoro svolto; ricorda Aureli che aveva ricevuto alcune mozioni di sfiducia, essendo caduta l’amministrazione di centrosinistra e che la giunta di centrodestra non era ancora stata formalizzata per le resistenze di alcuni gruppi politici; che Pastina promise di corrispondere la somma di 250 milioni di lire da dividere fra tutti i gruppi politici e che Aureli prese 30 milioni di lire (nel gennaio-febbraio 2001) versando il resto al Mauro affinché li distribuisse agli altri. Contesta il PM al dichiarante che nel precedente interrogatorio reso, Aureli aveva riferito di aver concordato con Pastina la corresponsione della somma di 400 milioni di lire; di aver ricevuto direttamente da Pastina 250 milioni di lire, dei quali aveva trattenuto 40 milioni “per attività del suo gruppo” e dato che la restante somma al Mauro affinché la distribuisse agli altri; che gli altri capigruppo (Mambelli, D’Alessandri, Celori e Ruffini) ricevettero somme di denaro direttamente da Pastina. Aureli risponde che non sa se i coimputati avessero ricevuto somme di denaro ma sa che ciò sarebbe dovuto avvenire. Contesta ancora il PM al dichiarante che nel precedente interrogatorio (verbale del 7/8/01) aveva affermato di aver concordato il pagamento il pagamento di una tangente di 600 milioni di lire dei quali 250 versati al dichiarante e per la maggioranza, 150 milioni per i consiglieri di minoranza e 200 milioni da versare successivamente a tutti i consiglieri. Aureli risponde di aver sbagliato le indicazioni delle somme poiché la somma concordata era in realtà di 400 milioni di lire. Contesta il PM che Aureli aveva precedentemente affermato che dell’accordo corruttivo aveva parlato con Mambelli, D’Alessandri, Celori e Ruffini concordando che lui avrebbe preso 250 milioni e che il resto sarebbe stato diviso tra i coimputati. Aureli risponde che si era saputo che vi era stato un accordo per un contributo alla maggioranza e che i coimputati citati avevano affermato che sarebbero andati da Pastina a reclamare un contributo anche per loro. Il PM contesta infine ad Aureli che il dichiarante aveva precedentemente riferito che Mauro e D’Alessandri lo avevano sollecitato a chiedere somme maggiori a Pastina e Aureli risponde che i coimputati gli avevano detto che sarebbero andati da Pastina a chiedere somme maggiori. In sede di esame, Toce e Manzi hanno negato ogni addebito. Mauro, in sede di interrogatorio e per ciò che interessa questo processo, ha invece affermato che Aureli aveva curato la trattativa per la tangente direttamente con Pastina e gli aveva detto che avevano pattuito una tangente di 600 milioni di lire, e cioè 20 milioni di lire per ciascun consigliere; che D’Alessandri e Mambelli gli comunicarono che avrebbero “trattato” direttamente con Pastina poiché non si fidavano di Aureli e perché la somma concordata da Aureli per loro era insoddisfacente. Afferma Mauro ancora che la prima quota gli fu data da Aureli e lui spartì con Caponetti, Ciccolini, Penna e Manzi, il quale a sua volta doveva consegnare denaro a Calzetta e De Lorenzi e che la seconda parte fu consegnata con le stesse modalità e alle stesse persone. Debbono infine ricordarsi le dichiarazioni rese da Pastina in sede di esame dibattimentale (cfr. trascrizioni delle udienze del 4/10/07 e 4/12/07). Afferma l’imputato che l’ARCALGAS – società creata dalla sua famiglia – costruiva e gestiva acquedotti e metanodotti; che della società lui era socio al 12,33% e dopo la cessione del 60% del pacchetto azionario ad altra società, era socio al 7%; che dagli anni ’90 il Pastina era Direttore Generale e membro del Consiglio di Amministrazione. Ricorda l’imputato che la società aveva creato la rete idrica e che, dopo i primi anni, le reti avevano manifestato danneggiamenti da attribuire secondo i periti alla natura dell’acqua fornita dapprima dalla Casmez e poi dalla Regione Lazio; che la società riceveva il costo della fornitura dagli utenti e doveva versare al Comune la parte relativa al costo di acquisto dell’acqua, costo che il Comune di Pomezia doveva a sua volta versare alla Regione. ARCALGAS avrebbe voluto versare tali somme direttamente all’ente fornitore – afferma Pastina – perché ciò avrebbe semplificato i profili contabili, ma gli enti succedutisi nel tempo (Casmez e Regione) non avevano mai accettato la società come interlocutore diretto; in considerazione dei danni alla rete idrica, la società non versava più quella parte al Comune, il quale a sua volta non pagava alla società il costo dei consumi di acqua. Nel 1992 la situazione tra la società ed il Comune trovò soluzione in seguito ad un accordo intervenuto, ma la Regione pretendeva per il periodo precedente somme maggiori di quelle che la società riteneva dovute, minacciando azioni giudiziarie nei confronti dell’Ente Locale. Pastina sollecitò il Comune a contestare le pretese della Regione – ad esempio perché un certo quantitativo di acqua si disperdeva a causa del deterioramento della rete per i cennati motivi – e nel 1997 il Comune intraprese azione giudiziaria nei confronti della Regione, giudizio nel quale ARCALGAS intervenne volontariamente. Il Comune propose una transazione per vari motivi, non ultimo quello della futura creazione degli ATO che avrebbero dovuto gestire gli acquedotti, avendo interesse a risolvere il contenzioso in atto, transazione della quale l’imputato spiega il contenuto e alla quale afferma essere rimasta estranea la società. La Regione vantava un credito di 11 miliardi di lire per sorte e circa 3 miliardi per interessi, ai quali rinunciava a fronte della transazione; della somma dovuta per sorte, circa 4,5 miliardi erano già stati pagati al Comune con quanto versato nel tempo dalla società e dei residui 6.300.000.000 di lire la società di accollava la somma di 5 miliardi. Afferma Pastina che Comune di Pomezia ed ARCALGAS avevano comunque convenuto di rimettersi alle decisioni degli Arbitri, essendo in coso tra le parti il giudizio arbitrale. Spiega Pastina che interesse della società alla transazione era che il debito della società si cristallizzava in 6.300.000.000 di lire anziché nei 14 miliardi originariamente vantati dalla Regione e che lo stesso interesse aveva il Comune poiché se nel giudizio fosse rimasto soccombente per la somma in origine pretesa, si sarebbe poi rivalso sulla società. Pastina afferma che in tale situazione Aureli aveva deciso di trattare da solo la questione, essendo avvocato ed il Pastina afferma di aver avuto rapporti solo con il Sindaco e non con Gadola. Il sindaco, in virtù del rapporto di colleganza, essendo anche il Pastina avvocato, si lamentava con il Pastina dell’instabilità politica che si era creata nel Comune e commenta il Pastina l’incoerenza di tale doglianza da parte di una persona che era stata eletta dal centrosinistra e dopo neppure un anno aveva dato vita ad una coalizione di centrodestra. Aureli aveva chiesto – afferma ancora Pastina – un aiuto economico per le imminenti elezioni a sostegno delle liste da presentare adombrando il pericolo che lo sfaldamento della coalizione della quale Aureli era a capo pregiudicasse tutto il lavoro svolto in relazione alla soluzione del contenzioso in materia e che non si arrivasse dunque alla sottoscrizione della transazione. Afferma l’imputato che aveva interesse alla transazione poiché doveva cedere le quote della società, si sentiva pressato dalle richieste del sindaco che gli chiese 250 milioni di lire, somma che il Pastina versò sul suo conto personale. Nega l’imputato di aver ricevuto richieste di denaro da altre persone e nega che nel lodo fosse contenuto un errore in relazione alla somma dovuta dalla società. Dato conto delle risultanze dibattimentali, deve osservarsi che provata è la sussistenza di un accordo criminoso tra gli imputati in relazione alla vicenda ARCALGAS. Tale giudizio si fonda sulle dichiarazioni rese da Mauro in interrogatorio, dalle dichiarazioni rese da Valentini, dalle dichiarazioni rese da D’Alessandri e Aureli in sede di incidente probatorio, dichiarazioni queste tutte che smentiscono quanto affermato da Pastina che afferma di aver avuto rapporti solo con Aureli (nell’evidente scopo di escludere la sussistenza di un accordo criminoso esteso a tutto il consiglio comunale o comunque a parte di esso). Ed inoltre, sotto il profilo logico, quanto riferito da Pastina in ordine alla richiesta e comunque alla dazione di una somma per consolidare la maggioranza – e non è chiaro poi a quale maggioranza si riferisca l’imputato attesa davvero la peculiare situazione politica del Comune di Pomezia – è smentito dalla circostanza che partecipi alla spartizione della somma erano anche gli altri capigruppo come risulta dalle dichiarazioni dello stesso Aureli oltre che dalle altre emergenze dibattimentali, quantomeno sotto il profilo della promessa di una dazione di denaro da parte di Pastina: ciò conferma invece che l’accordo era finalizzato a “comprare” il favore dei consiglieri comunali al fine dell’adozione della delibera e del successivo esito della vicenda con la firma della transazione. I rilievi che precedono assumono carattere assorbente. Tuttavia debbono svolgersi le seguenti ulteriori e rilevanti osservazioni. La convenzione del 7 Luglio 1972 intercorreva tra Comune di Pomezia e CASMEZ alla quale è poi subentrata la Regione Lazio (nel 1983); il servizio veniva espletato da ARCALGAS, concessionaria del Comune, soggetto terzo quindi rispetto alle parti della convenzione, tanto è vero che lo stesso Pastina afferma che la Regione non aveva mai accettato la società come interlocutore contrattuale diretto. Diritti ed obblighi derivanti dalla convenzione potevano quindi fare capo solo alle parti contraenti. L’obbligo di riversare al Comune le somme pagate dagli utenti ARCALGAS, in virtù di diverso rapporto contrattuale (concessione), incombeva unicamente sulla società citata, la quale però non aveva mai versato alcunché. Nella transazione infatti, ma anche nella proposta di delibera, si afferma che era stato il Comune di Pomezia a versare la somma di 4.499.796.608 alla Regione e non quindi ARCALGAS: nella stessa transazione il residuo debito del Comune verso la Regione veniva determinato in L. 6.320.912.858, dei quali ARCALGAS si “accollava” (tale è il temine utilizzato nella transazione) 5 miliardi; poiché la società si “accolla” la somma di 5 miliardi, non può che intendersi che la restante parte deve essere corrisposta dal Comune. Ciò però non solo non è esplicitamente affermato nell’atto, ma, ciò che è più rilevante, non vi è alcuna motivazione esplicitata e alcun titolo giuridico in forza del quale possa ritenersi legittima l’assunzione da parte del Comune dell’obbligo del pagamento della somma di L. 1.320.912.858 alla Regione. Non può, ancora, non osservarsi che proprio in relazione a tale ultima somma, che è quella che rileva nel presente processo, nella proposta di transazione si stabiliva che si sarebbe atteso l’esito del giudizio arbitrale della cui pendenza si da atto nella delibera. In realtà, è proprio la cronologia degli eventi che smentisce tale decisione, poiché la transazione è stata sottoscritta in data 27/02/01, mentre il lodo è stato depositato successivamente e cioè in data 22/03/01 (crf. Anche deposizione teste Auricchio) e la necessarietà di una transazione in corso di giudizio arbitrale (seppure transazione e giudizio arbitrale vertessero tra distinti soggetti) non è stata in alcun modo e da alcuno chiarita nel dibattimento. Non si discute nel presente processo del lodo arbitrale, ma non può per completezza non osservarsi che il lodo contiene – quantomeno – errore materiale con riguardo alla somma che ARCALGAS si “accolla” (crf. Lodo, pag. 54), come si evince dal mero raffronto con l’atto di transazione sottoscritta in data 27/02/01. Deve infine riportarsi uno stralcio del contenuto della intercettazione ambientale in data del 14/02/01, prog. 080, intervenuta tra Mauro e Manzi, stralcio di tutto rilievo a fini del decidere: …………………………………………………………………………………………………………………………..
MA. Senti, ma con l’Arcalgas che hai fatto con Maurizio? Hai parlato con quello?
MV. Sì, tutto a posto, soltanto che ho saputo ieri che adesso devono firmare la convenzione, devono firmare
MA. Quale convenzione, no il lodo, che convenzione devono firmare?
MV. Devono firmare la convenzione
MA. Tra chi?
MV. Arcalgas e Comune… neanche io ho capito ‘sta cosa qua poi stiamo stati… segnati, ‘sta cosa va…io c’ero rimasto dopo che la (incomp.) che approvavamo, stavamo qua..ma è uscita ‘sta firma del contratto, si vede che Trabocchini… …………………………………………………………………………………………………………………………… MA. ….perché poi Arcalgas al di là di questa cosa, a loro pure (incomp.) subito, che c… gli manca, ormai ci ha tutti…
MV. sì, ma… vediamo anche con Melmoso, perché Pennello pure mi ha detto, dice (incomp.)…ma quanto c… abbiamo preso? … Vediamoci un attimo… capito…un giro di (incomp.) non lo potete fare, che dici?…Vabbè, poi ne parliamo, dai, perché non voglio creare squilibri con Maurizio… però se dobbiamo fare un rapporto di c… nostri con lui,.. capito
MA. Certo …………………………………………………………………………………………………………………………..
E’ evidente dal tenore della conversazione che gli imputati attendono il pagamento della tangente o di parte di essa che, secondo gli accordi, doveva essere corrisposta dopo l’approvazione della delibera (“…io c’ero rimasto che dopo la (incomp.) approvavamo, stavamo qua…ma è uscita fuori ‘sta firma del contratto…”) essendo quindi l’accordo criminoso intervenuto prima dell’adozione della stessa, condizionandola; che Mauro ha invece appreso che dovrà essere sottoscritta apposita convenzione tra Comune ed Arcalgas, infatti poi stipulata il successivo 27/02/01; è altresì evidente che gli imputati si riferiscano alle circostanze sopra evidenziate e quindi alla vicenda di cui è processo, poiché citano anche il lodo arbitrale. Nell’esame delle singole posizioni, per Mauro e Manzi si richiamano gli esiti dell’intercettazione della quale si è in parte sopra trascritto il contenuto, la confessione resa da Mauro, le dichiarazioni rese da Aureli e D’Alessandri; per Toce si richiamano le dichiarazioni rese da D’Alessandri; per Pastina, le dichiarazioni rese da Aureli, D’Alessandri, Valentini. Conclusivamente ed in ordine a tutti i capi di imputazione e a tutti gli imputati con esclusione di Ciccolini, non emergendo elementi per assolvere nel merito gli imputati, ma emergendo anzi elementi di prova per affermare la penale responsabilità, deve essere dichiarata la causa estintiva ai sensi dell’art. 531 c.p.p. Deve ordinarsi trasmissione degli atti al P.M. secondo la sua richiesta. Deve infine disporsi confisca e mantenimento agli atti del materiale cartaceo in sequestro.