Ben 137 firme false su 148. Ore e ore di assistenza domiciliare che però, nei fatti, non erano state erogate perché la firma nei rapportini di servizio non erano della paziente, la signora Rosa, una disabile poi deceduta nel 2014, bensì di altre persone. Prestazioni mai erogate che pure erano state conteggiate dal Comune di Pomezia nel richiedere i soldi ai familiari della donna: perfino quando la paziente si trovava in Ospedale o nel giorno stesso della sua morte. Circa 5.400 euro la richiesta formulata sotto forma di ingiunzione di pagamento: soldi che però non dovranno essere pagati visto che, come recita la sentenza pubblicata a gennaio dal Tribunale di Velletri a seguito anche di una perizia calligrafica, quelle firme non le aveva messe la signora Rosa – tranne che in appena 11 casi – ma erano state contraffatte ad arte.
La vicenda a Pomezia
Di questa inquietante vicenda ce ne stiamo occupando ormai da tempo, da quando cioè il Comune di Pomezia aveva presentato il conto, salatissimo, alla famiglia della donna per le presunte prestazioni di assistenza domiciliare che non erano state saldate. Parliamo per la precisione di 5.402 euro riferite a 296 ore di assistenza (più di 18 euro per ogni singola ora di assistenza, ndr) per l’anno 2013. A contestare quanto richiesto dall’Ente era stata la figlia della donna, la signora Antonella, che si era rivolta all’epoca al nostro giornale, perché da subito quel conto per la famiglia era apparso oltremodo sovradimensionato; anche perché le condizioni della mamma erano peggiorate dal 2012 e in particolare la figlia stessa aveva deciso di assisterla direttamente. Tuttavia, nonostante le note protocollate al Comune con la richiesta di riconteggio, per tutta risposta la famiglia aveva ricevuto dall’Ente un’ingiunzione di pagamento. Quei soldi, per l’Ente locale, devono essere versati: a riprova di questo ci sarebbero i rapportini di servizio dell’attività di assistenza domiciliare erogata da gennaio 2013 a febbraio 2014. Ma è proprio prendendo visione di quei documenti che la famiglia si rende conto che qualcosa non torna: né le date, dato che le prestazioni si riferiscono anche a quando la signora Rosa era in Ospedale e perfino il giorno della sua morte, né soprattutto le firme, che appaiono diverse da quella della madre. Per questo nell’agosto del 2018 la signora Antonella decide di denunciare il tutto alla Guardia di Finanza di Pomezia.
Il processo
Inoltre, per opporsi al conto salatissimo presentato dall’Ente, la famiglia decide di impugnare l’ingiunzione di pagamento in Tribunale con i seguenti motivi: innanzitutto ribadendo che ai Servizi Sociali del Comune di Pomezia era stato presentato l’ISEE dal quale risultava che era esente dal pagamento di tale servizio di assistenza; in secondo luogo contestando le ore di assistenza indicate dai Servizi Sociali a sostegno del credito del Comune di Pomezia in quanto non corrispondevano a quelle effettivamente svolte dalle assistenti domiciliari dell’allora Pomezia Servizi Spa (che si occupava di erogare le prestazioni, ndr). Il Comune di Pomezia decide di costituirsi in giudizio dando così via al procedimento civile, con la prima udienza fissata il 27 febbraio 2019. Dopodiché trasmette alla famiglia, un po’ a sorpresa, una lettera raccomandata rettificando in minima parte l’importo richiesto (fino a scendere a 4.400 euro circa); a quel punto la famiglia sporge un’altra denuncia sempre alla Guardia di Finanza di Pomezia, integrando quella precedente, presentando la lettera da cui deriverebbe, da parte dello stesso Comune di Pomezia, l’incertezza dell’effettività delle ore prestate di assistenza domiciliare. La stessa lettera viene poi trasmessa al Giudice dall’Avvocato difensivo della signora Antonella, Giuseppe Sessa, nel corso della prima udienza per chiedere l’annullamento dell’ingiunzione di pagamento e la cessazione della materia del contendere. Il Tribunale rigetta la richiesta adducendo come motivazione tecnica che una mera lettera non poteva sostituire un’ordinanza di ingiunzione; al tempo stesso tuttavia rappresentava inequivocabilmente “un sintomo” dell’incertezza del credito da parte del Comune per cui il Giudice, pur facendo proseguire il processo, provvedeva a sospendere l’ingiunzione.
La perizia calligrafica
E arriviamo così allo snodo cruciale della vicenda. La signora Antonella presenta querela di falso contro il Comune di Pomezia in merito alle firme presenti sui famosi rapportini di servizio. Per la famiglia quelle firme autografe non sono della madre. Prima di procedere all’espletamento della querela, così come dispone il rito civile, il Giudice dell’impugnazione ha interpellato il difensore del Comune di Pomezia chiedendo se, nonostante la proposizione querela di falso, volesse utilizzare o meno tali rapporti a sostegno delle ragione del Comune convenuto: nel primo caso, la querela si sarebbe svolta con l’accertamento della veridicità delle firme; nel secondo caso i rapporti sarebbero stati espunti dal giudizio, per cui il giudice non avrebbe tenuto conto degli stessi per la sua decisione, e la querela di falso con conseguente perizia calligrafica non si sarebbe svolta. L’Ente, evidentemente convinto delle proprie ragioni, opta per la prima scelta. Pertanto il Giudice del Tribunale di Velletri, dopo aver nominato il CTU, dispone la perizia calligrafica per accertare se le firme apposte sui rapporti di servizio fossero effettivamente della paziente oppure no.
Le firme sono false
L’analisi comparativa, acquisita la documentazione, è stata eseguita su un totale di 148 firme ritenute ammissibili dal Giudice tra quelle presentate e apposte sui fogli presenza intestati alla Pomezia Servizi. Ebbene, “dall’esame peritale e dagli accertamenti le firme in verifica dalla numero X1 alla X136 e la numero X148 (per un totale di n. 137 su 148) – si legge nella relazione del CTU, sia nella versione preliminare che in quella definitiva – precisamente quelle apposte sui ‘Fogli presenza della Pomezia s. r. l.’ nei mesi che vanno da Gennaio 2013 a Dicembre 2013 e Gennaio 2014 (2° foglio) non sono state redatte dalla mano della de cuius Rosa”. La relazione conclude ribadendo che si certifica pertanto “una fattispecie di compilazione/falsificazione per imitazione a mano libera ad opera di mano estranea” per tutte le firme identificate come contraffatte. Ovvero quello che Antonella, sua sorella e tutta la famiglia della signora Rosa hanno sempre sostenuto.
La sentenza condanna il Comune di Pomezia
A quel punto, viste le risultanze emerse, il Giudice del Tribunale di Velletri ha condannato il Comune di Pomezia annullando con data 14 dicembre 2022 l’ordinanza di ingiunzione; dopodiché in data 17 gennaio 2023, l’Avvocato Sessa ha notificato tale sentenza al difensore del Comune di Pomezia al fine di far decorrere il termine breve di impugnazione di trenta giorni. Adesso la signora Antonella, terminato il processo dal punto di vista civilistico, dovrà decidere se rivolgersi anche alla Procura della Repubblica di Velletri per accertare eventuali ipotesi di reato in danno alle persone coinvolte nella vicenda.
Pomezia, firme false per intascarsi i soldi dell’assistenza domiciliare ai disabili: la denuncia