L’omicidio di Francesco Di Cataldo risale al 20 aprile del 1978, quando il maresciallo degli agenti di custodia venne assassinato da due brigatisti, che lo attendevano sotto casa.
L’agguato al militare fu rivendicato con una telefonata all’Ansa.
L’omicidio di Francesco Di Cataldo
Francesco Di Cataldo nacque a Barletta il 20 settembre del 1926. Dopo tre anni, trascorsi alla Scuola Militare Agenti di Custodia a Portici, Napoli, nel 1951 Di Cataldo fu assegnato al carcere di San Vittore. Qui diventò un maresciallo maggiore degli agenti di custodia. In quello stesso penitenziario, ricopriva anche il ruolo di direttore del centro clinico.
Partito come agente semplice, pian piano scalò tutti i gradi, dimostrando grande capacità di dialogo e moderazione. Durante gli anni di piombo aveva ricevuto diverse minacce e aveva perciò chiesto che gli venisse assegnata una scorta, ma la sua richiesta non fu mai esaudita.
Alle 7.15 del 20 aprile del 1978, il maresciallo uscì dalla sua abitazione in via Ponte Nuovo a Milano per raggiungere a piedi la fermata del filobus che lo avrebbe portato alla stazione Cadorna, per raggiungere il carcere di San Vittore.
Mentre stava attraversando l’incrocio tra via Ponte Nuovo e via Cairoli, nei pressi di Crescenzago, il maresciallo fu colpito da sette colpi di pistola. Due proiettili lo raggiunsero alla testa, uno al braccio sinistro e quattro alla schiena. A tendergli l’agguato due terroristi a volto scoperto.
I due riuscirono immediatamente a dileguarsi grazie alla presenza di altri due complici a bordo di una Fiat 125 verde, che li attendevano in auto con il motore acceso.
L’agguato al maresciallo Francesco Di Cataldo venne immediatamente rivendicato dalle Brigate Rosse la mattina stessa dell’omicidio, con una telefonata alla redazione milanese dell’ANSA, pervenuta alle 7.40: “Sono uno delle Brigate Rosse. Voglio informarvi che abbiamo giustiziato il maresciallo Francesco De Cataldo in forza al carcere di San Vittore come torturatore di detenuti”. L’omicidio era stato pianificato dalla colonna Walter Alasia Luca delle BR.
Francesco Di Cataldo era tutt’altro che un torturatore di detenuti. A dimostrazione di ciò, il fatto che erano gli stessi detenuti a volergli molto bene. Ai funerali fecero una cosa mai accaduta prima: chiesero di apporre due corone di fiori, facendo una colletta spontanea, e sventolarono fazzoletti bianchi dalle celle in segno di cordoglio per un uomo che li aveva sempre trattati con rispetto.
L’11 aprile del 1978, l’agente di custodia Lorenzo Cutugno venne assassinato da un gruppo di terroristi appartenenti alle Brigate Rosse. Secondo la vicedirettrice del carcere di San Vittore, Giovanna Fratantonio, l’agguato ai danni di Francesco Di Cataldo era un modo per i brigatisti di intimidire i colleghi già provati dall’uccisione dell’agente Cutugno.
Di Cataldo era sposato con Maria Violante e aveva due figli, Alberto e Paola.
Il processo
Nel 1984 ha preso il via un maxiprocesso in cui sono stati condannati – tra i 112 imputati – anche i responsabili dell’omicidio di Francesco Di Cataldo. Il processo si è concluso con una condanna complessiva a 19 ergastoli e 840 anni di carcere. In secondo grado, alcune pene sono state ridotte.
Il 15 giugno 2004 il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi ha conferito a Francesco Di Cataldo la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria, come fulgido esempio di elette virtù civiche e di altissimo senso del dovere.
Nel 2013, il nipote, che porta lo stesso nome del nonno, ha realizzato un cortometraggio, dal titolo Per questo mi chiamo Francesco, in cui il protagonista scopre, tramite una ricerca su Google, la storia di suo nonno, realizzando poi una serie di interviste, in particolare alla nonna Maria, moglie del maresciallo assassinato dalle Br, e a due ex colleghi di lavoro del maresciallo.
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