Nada Cella lavorava come segretaria in uno studio di commercialista a Chiavari (Genova). Fu trovata morta la mattina del 6 maggio 1996.
Il delitto di via Marsala è rimasto irrisolto.
L’omicidio di Nada Cella
È il 6 maggio del 1996, quando – in uno studio di commercialista in via Marsala 14, a Chiavari – viene scoperto il corpo martoriato di Nada Cella, 25 anni, che in quello studio lavora come segretaria.
Nada vive con la famiglia a Rezzoaglio, un piccolo paesino dell’entroterra di Chiavari. Da cinque anni lavora come segretaria nello studio di via Marsala. La mattina del delitto, la ragazza esce di casa con la madre, che accompagna al lavoro in auto. La madre di Nada è una bidella e quella mattina è in ritardo, così la figlia le dà un passaggio in macchina. Poi torna a casa, inforca la bicicletta e va in ufficio.
Come ogni mattina, apre lei lo studio, di cui ha le chiavi. Quando il datore di lavoro, Marco Soracco, che abita al secondo piano dello stesso stabile, la raggiunge in ufficio, sono circa le 9.15. La luce nell’ingresso è accesa. Una volta nello studio, trova il corpo di Nada a terra, riverso in una pozza di sangue. Torna su in casa e avverte la mamma, che vive con lui e che chiama subito i soccorsi.
Nada è ancora viva, ma in condizioni disperate. Trasferita all’ospedale di Lavagna, viene poi spostata al San Martino di Genova, dove muore sei ore dopo, senza mai riprendere conoscenza. I primi rilievi escludono la violenza sessuale. Dall’ufficio non sembra mancare nulla. Sul pavimento ci sono ancora gli occhiali di Nada. Deve averli persi durante la colluttazione con l’assassino.
Quando viene trovata, ha le gambe sotto la scrivania e il volto insanguinato, coperto dai capelli. Il killer ha infierito su di lei con un oggetto contundente, mai ritrovato, o deve averla spinta contro il muro. Tutto il resto, a parte le copiose macchie di sangue, è in ordine, anche nelle altre stanze dell’ufficio.
Il pc di Nada è acceso. Per molti aspetti il delitto di via Marsala riporta alla mente quello di Simonetta Cesaroni, avvenuto sei anni prima. In entrambi i casi, la vittima è una ragazza giovane e bella, uccisa sul posto di lavoro senza alcun testimone.
Le prime indagini
Partono le indagini, che appaiono subito intricate. Nessuno dello stabile di via Marsala ha sentito nulla. Quella mattina, essendo giorno di pulizie, il portone era aperto, a differenza degli altri giorni. L’assassino può essersi facilmente introdotto nello stabile, senza dare nell’occhio.
Nessuno però riferisce di aver sentito trambusto o grida di aiuto della vittima. Visto che era stata lei stessa ad aprire la porta all’assassino, era probabile che lo conoscesse. Quindi – almeno inizialmente – chi indaga scarta l’ipotesi di un ladro entrato nello studio a scopo di rapina, anche perché – come già anticipato – nulla manca dallo studio, né dalla borsa della vittima.
La prima traccia lasciata dal killer sono delle macchie di sangue lungo le scale dello stabile, che però potrebbero essere anche quelle della vittima, mentre veniva caricata nell’ambulanza. Accanto al corpo viene ritrovato un anellino d’oro, non di proprietà di Nada, ma gli inquirenti escludono la rilevanza dell’oggetto ai fini dell’indagine e addirittura, qualche tempo dopo, negano il ritrovamento stesso dell’anello.
Accanto al corpo della vittima viene trovato anche un bottone, presumibilmente dell’assassino. Gli inquirenti iniziano a scavare nella vita privata di Nada, che è una ragazza irreprensibile, una grande lavoratrice, seria e professionale, single al momento del delitto.
Si fa strada l’ipotesi che la mattina del delitto possa essere arrivata in ufficio prima del solito orario e magari aver sorpreso l’assassino all’interno dello studio. Sul computer di Nada si concentrano le attenzioni degli investigatori, ma anche dall’analisi del dispositivo non emerge alcun elemento utile alle indagini. Stessa sorte per i capelli e i lembi di pelle trovati sotto le unghie della vittima, dai quali non emerge nulla di importante.
Gli inquirenti brancolano nel buio, perché oltre ad assassino e movente, ignorano quali siano l’arma del delitto e la dinamica dell’aggressione. L’esame autoptico accerta che Nada Cella è stata colpita diverse volte alla testa: ha il collo spezzato e numerose ferite su tutto il corpo, oltre a un taglio all’inguine. I rilievi vengono resi ancor più difficili dal fatto che la madre del commercialista Soracco si era affrettata a ripulire lo studio, pensando forse che Nada fosse caduta accidentalmente.
Sull’orario del delitto, una testimone che vive nello stabile di via Marsala insinua ulteriori dubbi negli inquirenti, riferendo di aver incontrato la vittima alle 8.30 mentre varca il portone, il che amplia il lasso di tempo tra l’arrivo allo studio e la scoperta del corpo. In casa della testimone vengono trovate numerose macchie di sangue. La donna finisce nel registro degli indagati, ma dopo un anno viene prosciolta.
A uccidere Nada è stata una persona forte e robusta, che ha esercitato molta forza sulla vittima. Viene quindi fornita una lista delle persone che frequentano abitualmente lo studio di via Marsala, ma anche in questo caso non emerge nulla di importante.
I primi indagati
I sospetti si muovono quindi in direzione del datore di lavoro. Marco Soracco è laureato in economia e commercio, ha 34 anni ed è molto stimato in città. Il giovane respinge ogni accusa, riferendo di aver avuto con la vittima un rapporto strettamente professionale. A Soracco viene inviata un’informazione di garanzia dalla Procura di Chiavari. Come nel caso della testimone, anche la posizione del datore di lavoro viene archiviata dopo circa un anno di indagini.
Nel frattempo il 34enne ha trasferito lo studio in un’altra sede e l’ufficio di via Marsala viene venduto.
Intanto viene inviata un’altra informazione di garanzia a carico di una donna che vive nel palazzo di fronte allo stabile di via Marsala, ma anche questa indagine finisce con un buco nell’acqua e la posizione della stessa viene archiviata.
Alcuni anni dopo sembra emergere una nuova pista incrociando alcuni reperti dell’omicidio Cella con quelli relativi al delitto di una prostituta serba, Giordana Matic, uccisa a Genova il 26 ottobre del 1999. Dell’omicidio Matic viene accusato un muratore che conosceva anche Nada Cella, perché frequentavano la stessa compagnia di amici, ma i riscontri del DNA scagionano il muratore da un eventuale coinvolgimento nel delitto di via Marsala.
Mentre le indagini portano a un nulla di fatto, la famiglia di Nada continua a battersi per la verità, ipotizzando che a uccidere la ragazza sia stata più di una persona, ipotesi che però non trova conferma nelle indagini. I genitori lanciano appelli pubblici, scrivono al Papa e al Presidente della Repubblica.
Nuovi particolari sull’omicidio emergono durante una puntata di “Chi l’ha visto?”. Marco Canepa, il medico che aveva eseguito l’autopsia sul corpo di Nada Cella, nella trasmissione in onda su Rai3, riferisce che la vittima potrebbe essere stata spinta contro il muro e poi colpita più volte, ma sembra strano che nessuno abbia sentito il trambusto dell’aggressione o la caduta del corpo di Nada sul pavimento.
La perizia sul computer della 25enne stabilisce che la mattina dell’omicidio il pc era stato acceso alle 7.51, mentre solitamente Nada non lo accendeva mai prima delle 9, e che alle 8.50 era stata avviata una stampa di due cartelle riguardanti alcuni immobili. Su uno dei due file era scritto il nome “Stefano”. In collegamento con la trasmissione, i genitori di Nada Cella lanciano un nuovo appello agli inquilini del condominio perché parlino con gli inquirenti per aiutarli ad arrestare l’assassino della figlia.
Sempre nel corso della trasmissione, Paolo Bertuccio, un collega del datore di lavoro di Nada, riferisce un accadimento risalente al 23 aprile, due settimane prima del delitto. L’uomo riferisce che, in una conversazione con Soracco, questi gli avesse detto testuali parole: “Fra un po’ in ufficio ci sarà la botta. Ne sentirai parlare, se ne occuperanno i giornali. La signorina andrà via, ma la verità verrà a galla”. Il datore di lavoro però smentisce le affermazioni del collega.
L’archiviazione
Nel 1998 l’inchiesta sulla morte di Nada Cella viene archiviata. Nel 1999 il padre di Nada Cella, Bruno, muore in un incidente d’auto sulla strada che porta al cimitero della figlia, ucciso forse da un malore. Da tempo soffriva di cuore e la morte della figlia aveva aggravato la sua salute.
Bisogna aspettare altre cinque anni perché si torni a parlare del delitto di via Marsala. Nel 2003, un gruppo di investigatori del commissariato di Chiavari avvia nuove indagini sul caso. Si parte dai diari della vittima, in cui la ragazza appuntava con precisione ogni cosa, fino al 5 maggio del 1996, il giorno prima di essere uccisa.
A questo punto arriva un altro colpo di scena. A Genova si sta celebrando un processo con 130 imputati contro la mafia albanese. Due dei 130 indagati vivono in un monolocale nello stabile di via Marsala 14. Partono così le indagini per appurare un eventuale coinvolgimento, ma anche questa pista si rivela infondata.
La riapertura del caso
Nel maggio 2021 la Procura di Genova riapre il caso di Nada Cella, facendo sapere di avere di avere nuovi elementi per tentare di arrivare alla verità. Si tratta di alcuni profili di DNA femminili e maschili trovati sulla camicetta della vittima e sulla sedia dell’ufficio, ma anche un’impronta papillare.
Nel novembre di quello stesso anni viene iscritta nel registro degli indagati una donna di 53 (28 all’epoca dei fatti), già indagata nel ’96, ma la cui posizione era stata archiviata in pochi giorni.
Si tratta di Anna Lucia Cecere, una conoscente di Soracco, sul quale pare avesse mire amorose, che abitava a pochi passi da via Marsala e che pare fosse gelosa di Nada Cella, tanto da volerla sostituire nello studio. Soracco dal canto suo aveva sempre smentito qualsiasi coinvolgimento sentimentale con la Cecere.
La donna sarebbe stata vista in via Marsala, alle 9 del mattino del 6 maggio 1996, da una conoscente che transitava in auto e da un barbone. Era stata proprio la conoscente a telefonare, la mattina del 9 agosto del ’96, alla madre di Soracco, riferendole – senza rivelarle il suo nome – di aver visto Anna Lucia Cecere, “con la faccia sconvolta”, infilare qualcosa sotto la sella del suo scooter, parcheggiato a pochi metri dallo stabile in cui era stata uccisa Nada Cella.
Quella chiamata fu registrata dalla segreteria telefonica e fu consegnata da Soracco agli inquirenti, ma non si è mai saputo chi fosse la misteriosa conoscente. Una vicina di casa di Anna Lucia Cecere riferì anche lei di averla vista uscire prima di casa, la mattina del 6 maggio, trafelata.
I carabinieri ottennero il via libera dalla Procura per intercettare la Cecere. Nonostante alcuni indizi trovati in casa, come alcuni bottoni simili a quelli ritrovati sulla scena del crimine e alcuni ritagli di giornale riguardanti il delitto di via Marsala, la posizione della donna fu archiviata dopo appena nove giorni. Soracco e la madre furono nuovamente indagati con l’accusa di false dichiarazioni, non avendo riferito – secondo l’accusa – tutto quello che sapevano sulla Cecere.
In quegli stessi giorni fu sequestrato il motorino di Anna Lucia Cecere, sotto la cui sella furono ritrovate delle tracce di sangue. Ascoltata in Procura, nel 2021, la donna riferì che – la mattina del delitto – aveva fatto delle pulizie in uno studio dentistico di Sestri Levante, ma il dentista disse di non ricordare se fosse vero o meno quanto detto dalla donna.
Ad aprile 2023, è stato ripreso in esame anche l’apporto di una teste ascoltata a suo tempo dal PM Gebbia, che aveva riferito una confidenza della Cecere, che le aveva detto di essere gelosa di Nada Cella. Nell’ottobre del 2023 la Procura ha chiuso le indagini preliminari, notificando l’avviso ad Anna Lucia Cecere, con l’accusa di omicidio volontario, aggravato dai futili motivi e dalla crudeltà in quanto avrebbe ucciso Nada Cella, perché gelosa della vittima dal punto di vista personale e professionale.
A Soracco e all’anziana madre sono stati contestati i reati di false dichiarazioni all’autorità giudiziaria e favoreggiamento. Secondo i magistrati, il datore di lavoro aveva sorpreso l’assassina nel suo studio, ma – in accordo con la madre – aveva deciso di non dire nulla, per non compromettere il suo lavoro. A dicembre la Procura di Genova ha chiesto il rinvio a giudizio per i tre indagati. Il 1º marzo scorso la giudice per le indagini preliminari, Angela Maria Nutini, ha prosciolto Anna Lucia Cecere per mancanza di elementi sufficienti per una ragionevole ipotesi di condanna. Cadute anche le accuse nei confronti di Soracco e della madre.
Contro questa decisione la Procura, tramite il capo dell’ufficio Nicola Piacente, ha già annunciato ricorso in Appello.