L’omicidio di Francesco Cecchin risale alla notte tra il 28 e il 29 maggio del 1979. Il giovane militante del Fronte della Gioventù morì dopo 19 giorni di coma.
Inizialmente la sua aggressione fu fatta passare per incidente, poi una sentenza della magistratura ha dato un nome ai colpevoli.
L’omicidio di Francesco Cecchin
Il 28 maggio del 1979, mentre sta affiggendo dei manifesti del Fronte della Gioventù con altri quattro amici, Francesco Cecchin, giovane militante dell’organizzazione del Movimento Sociale Italiano, viene coinvolto in un’accesa lite con un gruppo di attivisti del Partito Comunista Italiano della sezione di via Montebuono. Secondo i giovani di destra, gli attivisti del PCI hanno ricoperto i tabelloni elettorali; secondo i ragazzi del Fronte della Gioventù, i loro manifesti sarebbero stati strappati e quindi vogliono impedire ai missini di affiggere i propri manifesti.
La situazione degenera e scoppia una violenta lite e l’allora segretario del Partito Comunista Italiano, Sante Moretti, minaccia Cecchin. Accusa che quest’ultimo negherà durante il processo, ammettendo di aver minacciato i ragazzi del Fronte della Gioventù, ma mai direttamente Cecchin.
La stessa sera della lite, Francesco Cecchin va a cena fuori con un amico e la sorella. Mentre si trovano in piazza Vescovio a Roma, il giovane militante viene riconosciuto da un gruppo di persone che viaggiano a bordo di una Fiat 850. Due di loro scendono dall’auto e iniziano a inseguirlo. La sorella e l’amico contattano immediatamente le forze dell’ordine.
Per tentare di sfuggire ai suoi aggressori, Francesco Cecchin si rifugia in un condominio di via Montebuono, dove vive un suo conoscente. Il ragazzo viene ritrovato – poco dopo – in fondo a un parapetto alto tre metri, ormai privo di conoscenza. Trasferito in ospedale, morirà dopo 19 giorni di coma, il 16 giugno del 1979.
Le indagini
Per molto tempo si è cercato di far passare l’omicidio di Francesco Cecchin come un incidente conseguente a una caduta accidentale dal parapetto del cortile. Solo le indagini accertarono che il 18enne fu spinto giù e si trattò di omicidio volontario. Il movente era la lite per u manifesti elettorali che la vittima aveva avuto il giorno stesso con alcuni attivisti del Partito Comunista Italiano. La sera in cui morì Francesco, furono lanciate due bombe a mano nella sede del PCI e 24 persone rimasero ferite. L’attentato fu poi rivendicato dai Nuclei Armati Rivoluzionari, che riferirono di una vendetta per la morte di Cecchin.
Secondo chi indagava, alla guida dell’auto che condusse i killer sul luogo dell’agguato mortale a Francesco Cecchin c’era il militante comunista Stefano Marozza che, per sua stessa ammissione, aveva preso parte alla lite scoppiata in piazza Vescovio. Marozza era proprietario di una Fiat 850 bianca, proprio come quella su cui viaggiavano gli aggressori.
Marozza disse di essere stato al cinema Ariel con un amico la sera dell’omicidio, ma fu smentito dall’amico stesso e dal film in proiezione, che era diverso da quello che lui aveva dichiarato di aver visto. Non solo, secondo alcune testimonianze, la vettura di Marozza si trovava sul luogo dell’agguato mentre lui sosteneva di essersi allontanato in macchina alle 21.30. Il giovane fu arrestato il 1º luglio di quell’anno con l’accusa di concorso in omicidio. Con un referto datato 21 novembre 1979, i periti esclusero che le ferite ritrovate sul corpo di Cecchin potessero provare con certezza che il 18enne fosse stato picchiato prima di finire nel vuoto. Il 24 gennaio 1981 Marozza fu assolto per non aver commesso il fatto.