L’omicidio di Alberto Giaquinto è un fatto di sangue risalente al 10 gennaio 1979 a Roma. Alberto aveva 16 anni quando venne assassinato da un agente di polizia in borghese, durante una manifestazione per ricordare la Strage di Lacca Larenzia.
Inizialmente si tentò di depistare le indagini, riferendo che il giovane studente avesse con sé armi e munizioni. Tuttavia la perseveranza di suo padre fece crollare la versione mendace della polizia. L’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, gli ha dedicato un giardino a Ostia, mentre nel 2002 lo Stato ha riconosciuto un indennizzo alla famiglia di Alberto, che ha destinato quel denaro alla costruzione della tomba in cui oggi riposa Alberto Giaquinto.
L’omicidio di Alberto Giaquinto
Alberto Giaquinto nasce a Roma il 5 ottobre del 1962. È un ragazzo allegro, amante della musica e del calcio. Il 10 gennaio del 1979, Alberto – che all’epoca frequenta il terzo anno del liceo scientifico Peano – è in compagnia di alcuni altri militanti del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, per partecipare a una manifestazione in ricordo del primo anniversario della strage di Acca Larenzia, costata la vita a due giovani del Fronte.
Mentre la manifestazione viene dispersa dalle forze dell’ordine, Alberto Giaquinto si trova nei pressi della sede della Dc di Centocelle, insieme all’amico Massimo Morsello. È a quel punto che due poliziotti in borghese arrivano a bordo di una Fiat 128 bianca. Uno dei due militari, Alessio Speranza, in servizio alla Digos, la polizia politica, scende dall’auto e colpisce Alberto alle spalle. L’ambulanza arriva, invano, 30 minuti dopo, mentre il 16enne muore tra le braccia della madre.
Quello stesso giorno, sempre a Roma, muore un altro ragazzo vicino alla destra sociale, Stefano Cecchetti. L’omicidio Cecchetti viene rivendicato poco dopo dai “Compagni organizzati per il comunismo” con un comunicato inviato al giornale Lotta Continua.
I depistaggi e il processo
Inizialmente si tenta di depistare le indagini, riferendo che Alberto avesse con sé armi e munizioni, mai trovate. I testimoni del delitto vengono denunciati perché la manifestazione non era stata autorizzata, mentre Giorgio Almirante, storico leader e segretario del MSI, in un discorso alla Camera – appena 15 giorni dopo il delitto – riferisce che, non solo la manifestazione era stata chiesta settimane prima, ma accusa pubblicamente il questore di Roma di essere complice dell’assassino di Alberto Giaquinto.
È soprattutto grazie alla perseveranza del padre di Alberto che crolla la versione mendace della polizia. L’uomo, farmacista di professione, paga di tasca propria degli investigatori privati per scoprire la verità sulla morte del figlio. Dopo quattro processi, il 17 aprile 1988, la corte di cassazione di Roma condanna l’agente di pubblica sicurezza, Alessio Speranza, a sei mesi per “eccesso colposo di legittima difesa”.
Durante il suo mandato politico da sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha dedicato ad Alberto Giaquinto un giardino a Ostia, mentre nel 2002 lo Stato ha riconosciuto un indennizzo alla famiglia del ragazzo. Denaro che la famiglia ha destinato alla costruzione della tomba in cui oggi riposa Alberto Giaquinto.