Il piccolo Samuele Lorenzi – tre anni – venne trovato senza vita, nel letto dei genitori, la mattina del 30 gennaio 2002, nella villetta di famiglia a Montroz, Cogne.
Per l’omicidio è stata giudicata colpevole la madre del bambino, Annamaria Franzoni, la prima a lanciare l’allarme e l’unica presente in casa la mattina della tragedia. La donna, che si è sempre proclamata innocente, è stata al centro di una grande attenzione mediatica, anche per via dell’interesse che il delitto di Cogne ha attirato su di sé, diventando uno dei casi di cronaca nera maggiormente dibattuti negli ultimi anni.
La mattina del delitto, dal malessere di Annamaria Franzoni all’omicidio
Sono le cinque e trenta del mattino del 30 gennaio 2002, quando Annamaria Franzoni – 31 anni – chiede al marito Stefano Lorenzi di chiamare un’ambulanza, perché non si sente bene e non riesce a respirare. Stefano cerca di calmarla, ma chiama il 118 a cui fa seguito l’arrivo della guardia medica. Nella villetta di Cogne, in Valle d’Aosta, i medici che visitano Annamaria Franzoni le dicono di non preoccuparsi, perché potrebbe trattarsi di un attacco di panico. Arriva una prima diagnosi di depressione. Ascoltata dopo il delitto, la donna minimizzerà la chiamata al pronto soccorso, riferendo che i medici le avrebbero poi diagnosticato una banale influenza.
Il marito resta accanto a lei, finché non si fa ora di andare a lavorare. A quel punto esce di casa. Poco dopo si consumerà l’orrore nella villetta. Stefano e Annamaria si erano conosciuti proprio in Valle D’Aosta. Dopo il diploma, lei aveva iniziato a lavorare in un B&B. Originari entrambi del Bolognese, avevano deciso di trasferirsi nella città che li aveva fatti innamorare. Nel 1995 era nato Davide, tre anni dopo era arrivato il piccolo Samuele.
La mattina della tragedia, alle 8.28, arriva una telefonata al 118. All’altro capo del telefono c’è Annamaria Franzoni, che chiede l’intervento di un’ambulanza, perché “al figlio è scoppiato il cervello”. Prima dell’ambulanza, la donna ha chiamato Ada Satragni, medico di base. Quest’ultima ipotizza un aneurisma, ma il luogo del delitto racconta ben altro. La stanza è un covo di sangue. Per lo staff del 118 però Samuele non può aver avuto un’emorragia interna: la testa è una mappa di ferite, della materia grigia è uscita dal cranio.
Alle 9.55 viene certificata la morte del piccolo Sammy, mentre è adagiato sulla lettiga del 118.
Le indagini e i primi sospetti
Quarantotto ore dopo viene effettuata l’autopsia sul corpo del piccolo Samuele Lorenzi. L’esame conferma che il bambino non è deceduto per cause naturali, ma è stato ucciso con 17 colpi inferti alla testa con un oggetto pesante (che non sarà mai ritrovato).
La villetta di Cogne viene posta sotto sequestro, ma la scena del crimine è irrimediabilmente compromessa, viste tutte le persone che sono entrate e uscite durante le operazioni di soccorso. Il letto è intriso di sangue. Il piccolo è stato colpito mentre si trovava nel letto matrimoniale, dove lo aveva messo la mamma perché smettesse di fare i capricci. L’omicidio sarebbe avvenuto mentre Annamaria accompagnava il figlio più grande alla fermata dell’autobus che lo avrebbe portato a scuola. Gli indumenti della mamma vengono posti sotto sequestro insieme ai suoi zoccoli.
Per i funerali di Samuele Lorenzi il paese di Cogne e l’Italia intera si fermano. A sconvolgere è la ferocia con cui un killer sconosciuto si è accanito su un bambino così piccolo. Annamaria Franzoni segue la bara del figlio, sorretta dal marito Stefano e dalla dottoressa Satragni.
Quando – poco tempo dopo – la famiglia Lorenzi inizia a puntare il dito contro i vicini di casa, la comunità di Cogne, che così calorosamente li aveva accolti, si fa da parte. I genitori del piccolo Samuele accusano prima Daniela Ferrod e poi Ulisse Guichardaz, ma entrambi hanno un alibi per la mattina in cui è avvenuta la mattanza.
A quel punto Annamaria, insieme al marito Lorenzo e al piccolo Davide, si trasferiscono a Monte Acuto Vallese, sulle montagne bolognesi, il paese in cui lei era nata. Intanto, il delitto di Cogne diventa il principale argomento di discussione di salotti tv e carta stampata. L’attenzione, mediatica e non, si concentra su quella donna che sembra impenetrabile. Il 14 marzo 2002 Annamaria Franzoni viene arrestata con l’accusa di omicidio volontario, aggravato dal vincolo di parentela; il tribunale del riesame di Torino, però, il 30 marzo ne ordina la scarcerazione per carenza di indizi.
I processi
A questo punto, all’avvocato Carlo Federico Grosso, subentra nella difesa Carlo Taormina, ex sottosegretario di Stato. Annamaria Franzoni partecipa a diverse trasmissioni televisive, come suggerito dal legale, ma le ospitate hanno l’effetto opposto di quello desiderato.
La donna risulta fredda, antipatica e finta nella narrazione di quella drammatica mattina. L’avvocato Carlo Taormina ben presto abbandona il caso per divergenze sopraggiunte con quello che è ormai diventato un vero e proprio ufficio stampa. A seguire arriva l’avvocata Paola Savio. Il 19 luglio del 2004 Annamaria Franzoni viene condannata a 30 anni di reclusione. Secondo i Ris, l’assassino di Samuele indossava gli zoccoli e il pigiama di Annamaria Franzoni, su cui vengono trovate copiose tracce di sangue.
La sentenza di condanna
Quando si apre il processo d’Appello, Annamaria Franzoni rifiuta di sottoporsi a una perizia psichiatrica perché ciò postulerebbe la sua colpevolezza. La perizia viene comunque effettuata tramite quello che ha raccontato in televisione e altro materiale raccolto dai periti. Per i professionisti che si occupano di svolgerla, l’unica imputata per il delitto di Cogne è “un soggetto con una personalità isterica e narcisistica che utilizza meccanismi di rimozione e negazione. Il giorno dell’assassinio Annamaria sarebbe stata in preda a uno ‘stato crepuscolare’, nell’ambito del quale avrebbe compiuto il massacro del proprio figlio per poi rimuoverlo dalla coscienza.”
Questa analisi però sembra in contraddizione con il modo in cui la Franzoni appare dopo il delitto e nei mesi a seguire. Nel 2007 la Franzoni viene condannata a 16 anni di reclusione, ridotti a 13 dall’indulto. Dei 16 anni iniziali, in carcere ne ha trascorsi poco più di 10, grazie all’indulto e a 45 giorni di sconto di pena per buona condotta. Dal 2014 gode del regime di semilibertà. Un anno dopo l’omicidio del piccolo Samuele, Annamaria Franzoni è diventata mamma per la terza volta. I figli e il marito l’hanno sempre sostenuta. È stata giudicata non socialmente pericolosa perché non sussistono più le condizioni di stress in cui avvenne il delitto.