Il caso Bellentani, noto anche come delitto dell’ermellino, risale al 16 settembre del 1948. Un caso affascinante e controverso, che scandì le cronache dell’epoca per diversi mesi.
Il dramma, fra gelosia, fatalità e provocazioni, si consumò sotto gli occhi degli invitati a una sfilata di moda.
Il delitto dell’ermellino
Il delitto dell’ermellino, noto anche come “caso Bellentani”, è un episodio risalente al secondo dopoguerra. La protagonista di questa storia è Pia Bellentani, nata con il nome di Pia Caroselli nel 1916 a Sulmona, nella provincia dell’Aquila, da papà contadino e madre operaia.
La famiglia Caroselli era riuscita a costruirsi una piccola fortuna e la posizione sociale guadagnata permetteva a Pia di godere di piccoli privilegi, come le vacanze a Cortina d’Ampezzo. Fin da giovane, Pia sognava il suo principe azzurro, ispirata dai romanzi amorosi che leggeva con passione. Era una donna colta e appassionata, che amava anche comporre poesie d’amore.
Durante un soggiorno a Cortina d’Ampezzo all’età di 22 anni, Pia incrociò il conte Lamberto Bellentani, un uomo elegante e navigato nel mondo degli affari, specializzato nel settore dei salumi. Il conte, già quarantenne, era afflitto da un complesso di Edipo che lo portava a cercare la figura materna nelle donne che incontrava. Quando scoprì che la giovane che tanto lo aveva colpito si chiamava Pia, lo stesso nome della sua amata madre, ne rimase turbato.
Tuttavia, il destino giocò un ruolo misterioso: Pia sparì improvvisamente, lasciando il conte Bellentani senza alcuna notizia di sé. Quando un amico banchiere ascoltò il racconto appassionato del conte Bellentani riguardo all’incontro fugace con Pia, scoprì che la protagonista di quella appassionata storia era proprio sua nipote. Il conte, estasiato, chiese la mano di Pia ai coniugi Caroselli. La giovane accettò di buon grado di sposarlo, non perché ne fosse attratta, ma perché vedeva in quella storia uno dei tanti romanzi d’amore che aveva sognato di vivere. Così, il 15 luglio 1938, Pia diventò la contessa Bellentani.
I due nobili si trasferirono in Emilia e poi, con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, a Cernobbio, sul lago di Como. Tuttavia, la fiaba iniziò a sgretolarsi, e il ménage famigliare dei conti Bellentani iniziò a perdere la sua aura romantica giorno dopo giorno. Dal matrimonio nacquero due figlie, Stefania e Flavia.
Pia conobbe Carlo Sacchi, un commerciante di seta già sposato e padre di tre figlie. La moglie di Carlo era Lilian Willinser, un’ex ballerina tedesca molto avanguardista e mentalmente aperta per quell’epoca, tanto da essere a conoscenza di tutte le storielle del marito, senza lasciarsene scalfire. Con il trasferimento dei Bellentani a Cernobbio, i rapporti tra Pia e Carlo si inasprirono. Quando Pia scoprì che le liaison di Carlo duravano poco più della fiamma di una candela, iniziò a scrivergli lettere d’odio, per poi tornare sui suoi passi.
Una sera lo rincorse mentre Sacchi era alla guida della sua automobile e gli si buttò addosso con una motoretta. L’uomo badò più ai danni arrecati alla sua auto, che alle condizioni della sua ex amante, finita a terra. In quell’occasione prese a insultarla, appellandola più volte con l’epiteto di terrona.
Il delitto
La sera del 15 settembre del 1948, durante una serata mondana all’Hotel Villa d’Este a Cernobbio, furono presentati i modelli della famosa sarta milanese Biki per l’inverno 48-49. Quella sera, reduce da un gran mal di testa, Pia Bellentani fu incerta fino all’ultimo momento se andare o meno alla sfilata dove avrebbe incontrato Carlo Sacchi e la sua attuale amante, Mimì Guidi. Il dramma, fra gelosia, fatalità e provocazioni si consumò sotto gli occhi degli invitati.
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Alle due di notte, Pia affrontò Carlo per l’ultima volta. Sotto la lunga stola di ermellino che portava sulle spalle, nascose la pistola che il marito aveva lasciato nel soprabito. Tra i flûtes di champagne e la musica che accompagnava gli ultimi passi di danza, l’amante ferita esplose un solo colpo e Carlo Sacchi cadde, morto, sul pavimento. Poi si puntò la pistola alla tempia, ma l’arma si inceppò.
La contessa Pia Bellentani venne subito arrestata e trasferita nel carcere di San Donnino a Como. Raccontò che avrebbe voluto uccidersi, ma l’arroganza del suo ex amante l’aveva mandata fuori di testa. La perizia psichiatrica la giudicò incapace di intendere e di volere e fu rinchiusa nel manicomio criminale di Aversa. Il 12 marzo 1953 la donna venne condannata a dieci anni di reclusione, dei quali tre furono condonati e tre li trascorse nel manicomio giudiziale di Pozzuoli.
Il processo d’appello si chiuse con una riduzione della condanna, da dieci anni a sette anni e dieci mesi. Il 23 dicembre del 1955 Pia Bellentani ricevette la grazia dall’allora Presidente della Repubblica. Il marito nel frattempo si era trasferito con le figlie a Montecarlo, dove morì nel 1963. Pia si trasferì prima nella sua vecchia casa di Sulmona, poi a Roma insieme alle figlie, e da allora rimase sempre molto in disparte.
L’arma utilizzata per uccidere Carlo Sacchi è conservata presso il Museo criminologico di Roma.
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