Il vicequestore Francesco Cusano fu ucciso il 1° settembre del 1976 a Biella, dove prestava servizio nella sezione antidroga.
Nel 1977 gli è stata conferita la Medaglia d’oro al valor civile alla memoria. Ogni anno la città di Biella ricorda il suo stimato concittadino, con una cerimonia in memoria del vicequestore barbaramente assassinato.
L’omicidio di Francesco Cusano
Francesco Cusano nasce ad Ariano Irpino, provincia di Avellino, l’11 novembre 1925. Dopo la laurea in Giurisprudenza, nel 1955 entra in Polizia e viene assegnato alla Questura di Nuoro. Poi arriva a Biella, dove diventa dirigente dell’Ufficio distaccato di pubblica sicurezza. Nella lotta contro gli spacciatori di stupefacenti si distingue per professionalità e impegno.
Alle 19:45 del 1º settembre 1976 – giorno del delitto – il vicequestore Cusano sta effettuando un controllo insieme all’appuntato Primo Anceschi. Tra i tanti veicoli passati al setaccio, i due militari fermano una Fiat 131 con targa della provincia di Milano. Cusano nota una irregolarità nella patente di guida del conducente e quindi lo invita a scendere dalla vettura e a seguirlo al vicino commissariato per accertamenti.
È in quel frangente che l’uomo alla guida dell’auto scende dal veicolo e colpisce il vicequestore con un colpo di pistola, che lo centra al petto. Anceschi, che riesce a ripararsi dietro un’auto, prova a fermare la fuga dei malviventi, esplodendo alcuni colpi, ma manca il bersaglio.
Francesco Cusano viene soccorso e muore sull’ambulanza che lo sta trasportando in ospedale. Sul luogo del delitto vengono ritrovati i bossoli di una calibro 7,65 Parabellum. La Fiat 131 risulta rubata a una persona che si rivelerà estranea ai fatti.
Le indagini e il processo
Dalle prime indagini dei colleghi della vittima, emerge un omicidio non pianificato, ma improvvisato per evitare il controllo in commissariato a cui il vicequestore voleva sottoporre il conducente della vettura. Esattamente una settimana dopo il delitto, i due malviventi, tra cui il brigatista Lauro Azzolini – ritenuto l’esecutore materiale del delitto – vengono avvistati a Monza da due guardie giurate, a bordo di una Fiat 128 con targa di Torino. La certezza arriva grazie al riconoscimento fotografico dei genitori di Azzolini.
L’8 giugno del 1978, nel turbinio mediatico dell’uccisione di Aldo Moro, Lauro Azzolini viene rinviato a giudizio dalla procura di Biella. Per quanto riguarda il suo complice, il nome resta un mistero per circa due anni. Il 1º ottobre di quello stesso anno, la polizia fa irruzione in alcuni covi delle Brigate Rosse a Milano. Vengono rinvenute armi e materiale vario e vengono effettuati nove arresti, tra cui quello di Lauro Azzolini, scovato nel nascondiglio di via Monte Nevoso.
Il 4 febbraio 1979, sempre a Milano, durante una retata organizzata da Carabinieri e uomini della DIGOS, vengono arrestate cinque persone, tra cui il complice di Azzolino. Si tratta di Calogero Diana, 30enne originario del Torinese, che gira sotto falso nome di Pietro Sicca. Finito in carcere per reati minori, si convertirà alla lotta armata venendo a contatto con alcuni brigatisti.
Il processo che vede imputati Azzolini e Diana prende il via a Novara il 30 gennaio 1981; la vedova e il figlio di Francesco Cusano si costituirono parte civile. Il pm chiede 30 anni di reclusione per i due imputati, che il tribunale concede. Lauro Azzolino viene poi condannato all’ergastolo per altri reati, mentre Calogero Diana – pure condannato all’ergastolo – evade dall’ospedale di Novara nel 1986, ma viene fermato tre mesi dopo, nel dicembre di quello stesso anno, e arrestato.
Lauro Azzolini, cui viene imputata anche la gambizzazione del giornalista Indro Montanelli, si dissocia dalla lotta armata e, acquisita la semilibertà, si dà al volontariato. In quello stesso anno viene conferita la Medaglia d’oro al valor civile alla memoria del vicequestore Francesco Cusano.
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