Il periodo di convivenza prematrimoniale potrebbe giocare un ruolo decisivo nel calcolare il valore dell’assegno di mantenimento. A scardinare i parametri fino a oggi imposti dalla legislazione italiana è il caso di una coppia a Bologna, che ha interrogato i giudici della Cassazione.
La convivenza prima del matrimonio ha un valore anche nel calcolo dell’assegno di mantenimento dell’ex coniuge. A stabilirlo i giudici della Cassazione che hanno decretato, con una sentenza choc, che il contributo debba includere anche il periodo antecedente alle nozze.
Lei lascia il lavoro mentre convivono, l’assegno di mantenimento include anche il periodo pre-nozze
A segnare una differenza sostanziale nei divorzi è il caso di una coppia di Bologna, che prima di sposarsi avrebbe convissuto dal 1996 al 2003. Lei, in quel periodo, avrebbe lasciato il lavoro per dedicarsi alla famiglia. L’ex coniuge invece, un autore di testi musicali, una volta divorziato non sarebbe riuscito a sopperire alle necessità economiche della donna, sopperendo con una cifra mensile ritenuta insufficiente.
I giudici hanno però insistito sul valore della convivenza scrivendo che, “non ha effettivamente considerato, nella valutazione del contributo al ménage familiare, dato dalla donna, anche con il ruolo svolto di casalinga e di madre”. Dando peso invece alle sue attività domestiche, i giudici hanno avvalorato la sua esigenza di un contributo economico post divorzio. Una sentenza che, per il legale della donna, Gasssani, sarebbe “una rivoluzione copernicana del diritto di famiglia”, perché includerebbe nella vita di una coppia anche tutte quelle scelte che la condizionano prima di decidere di unirsi in matrimonio.
Quando l’ex coniuge ha diritto a più soldi nell’assegno?
Come anticipato precedentemente, la rivalutazione dell’assegno di mantenimento vale sempre e a priori, anche quando non è espressamente indicata dalla sentenza. È la legge n. 898 del 1970 a prevederlo, precisamente all’articolo 5, comma 7: qui si parla solamente di divorzio, ma in diverse sentenze la Corte di Cassazione ha assicurato che lo stesso vale per le pratiche di separazione. C’è solo un caso in cui l’assegno di mantenimento può non essere rivalutato, ovvero quando sia il giudice a stabilirlo.
Nella sentenza pronunciata, infatti, deve essere chiaramente scritto che il valore pattuito non è soggetto ad adeguamento annuale, specificandone ovviamente la ragione. A tal proposito, l’articolo 5 della suddetta legge 898 del 1970, stabilisce che il Tribunale può escludere tale previsione con motivata decisione, ma solo in caso di “palese iniquità”. Diversamente, compreso quando la sentenza tace a riguardo non menzionando in alcun caso la pratica di rivalutazione, l’assegno dovrà essere adeguato automaticamente dalla parte che lo deve versare.