“Il rugby è come l’amore. Devi dare prima di pretendere” (Serge Planco)
Domenica 13.11.2011: Sonora sconfitta. Breve riunione dopo partita nella quale i ragazzi chiedono di allenarsi dopo l’intervento con La Strada della Speranza, per migliorare.
Lunedì 14.11.2011: Dopo l’interessante racconto di Claudio, Marco, Debora ed Enza, la squadra sale sul campo insieme all’allenatore, sotto gli sguardi attenti di alcuni genitori e dei coordinatori della Comunità Incontro.
Questi ultimi avvenimenti, in ordine di tempo, spiegano che tutto è paragonabile alla vita stessa: sofferenze, lavoro, sacrificio, sostegno verso il compagno, gioie e timori, dove il protagonista indiscusso è sempre uno: LA SQUADRA! Vederli condividere una vittoria è bellissimo, ma, quando perdono, scorgere nei loro occhi quello sguardo triste ma orgoglioso, pieno di vita, coscienti di essere caduti e di volersi rialzare, non ha eguali! L’unione dei ragazzi si percepisce anche da fuori gli spogliatoi, dove allenatori e genitori aspettano per momenti interminabili la loro uscita, prima di tornare a casa: sono momenti scanditi a suon di canti, urla e schiamazzi vari. Lo spogliatoio è fondamentale: all’interno di esso si racchiudono i segreti della squadra e di ogni giocatore. L’allenatore è la figura fondamentale, spesso conosce meglio lui un ragazzo che la famiglia. Marco Patera, col suo fisico da lottatore e da buon sportivo, ha detto che sport e droga non vanno d’accordo che uno sportivo se arriva a vivere un momento di disagio deve esternarlo e che in qualsiasi momento ne avesse mai bisogno, deve guardarsi in giro e trovare quella figura di cui fidarsi che non si può nascondere dietro chiunque, ma sicuramente dietro a colui che non ti dirà mai “ dai non ti preoccupare”, con una tranquilla pacca sulla spalla, ma dietro colui che dietro un sonoro ceffone ti dirà “CRETINO!! Adesso ti senti grande?”, e questa persona potrebbe essere anche un tuo compagno di squadra. Questa è la cosa bella: sentire di appartenere ad una squadra, e se in questa anche un solo elemento si droga, la squadra non può funzionare. Il rugby insegna che il comportamento di un atleta non deve creare disagio a sé stesso, alla famiglia e alla squadra. Oltre quelli di Marco, i racconti di Claudio, Enza e Debora hanno catturato l’attenzione dei nostri giovani che, a dir la verità, sembravano, fino a pochi attimi prima, sottovalutare un po’ questo incontro. Nell’aria aleggiava un: “A che mi serve? Io le “canne” non me le faccio. Non fumo neanche le sigarette”, fino ad arrivare ad un silenzio assordante. Ora abbiamo ancor di più la speranza che se a uno solo di loro verrà passata una “canna”, il rugbista risponderà: “NO GRAZIE, IO AMO LA VITA”.
La più bella vittoria l’avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby, se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacità di soffrire. Questo è uno sport che allena alla vita (John Kirven, allenatore nazionale italiana).
ASS.ne AQUILONE – I RAGAZZI del POMEZIA E TORVAJANICA RUGBY