Non basta il dolore delle vittime di questo ennesimo disastro naturale. Non basta la sofferenza di chi da un giorno all’altro ha perso casa, lavoro o, peggio ancora, le persone amate, forse ancora sotto le macerie di quelle case che fino all’altro ieri sorridevano insieme a chi le abitava e che oggi invece non esistono più.
No, per alcuni giornalisti tutto questo è poco, perché altrimenti non riterrebbero necessario scavare nella sofferenza altrui – se lo facessero tra le macerie utilizzando la stessa “diligenza” risulterebbero sicuramente più utili – infierendo, spettacolarizzando questa tragedia con dettagli del tutto omissibili. Vi faccio capire cosa intendo; ieri, ora di pranzo, seduta a tavola stavo mangiando, la TV accesa sintonizzata sul Rai Uno. Distrattamente sento parlare delle telefonate dei terremotati ai soccorritori. Partono le registrazioni, sento, ma non ascolto, la voce di un uomo che piange disperato. Come una furia cerco il telecomando per evitare questo supplizio, non lo trovo, mi alzo, eccolo!, cambio canale velocemente, nodo alla gola, mi passa la fame, fine del pranzo.
Terremoto: il giornalismo becero che spettacolarizza il dolore
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Continuo? Ok. Proseguiamo con quegli inviati che a poche ore dal disastro giravano per i paesi colpiti cercando testimonianze – e fin qui nulla di male – e per eseguire “il compito”, portando a casa un 10 e lode da parte della redazione, sono arrivati addirittura ad aprire le autovetture dove le vittime, ancora scioccate, avevano trovato rifugio. Ho visto spalancare gli sportelli, così, all’improvviso, puntare addosso alle vittime luci, microfoni, telecamere, senza alcun tipo di rispetto, senza alcun pudore.
Quando si assiste a tutto a ciò, credo che sia più che lecito domandarsi che differenza ci sia tra gli sciacalli che rubano in mezzo ai resti delle abitazioni e quelli che girano con un microfono in mano fottendosene della sofferenza altrui.
Potrei continuare l’elenco di questo schifo per ore e ore, ma non credo sia necessario; se avete letto le mie parole fino a questo punto, è perché siete arrabbiati e indignati come me e quindi pienamente consapevoli che i fatti precedentemente elencati sono niente. Quando ci si ritrova davanti a tutto questo credo che sia più che lecito domandarsi che differenza ci sia tra gli sciacalli che rubano in mezzo ai resti delle abitazioni e quelli che girano con un microfono in mano fottendosene della sofferenza altrui.
In questi giorni, tra televisioni e social network, abbiamo avuto modo di confermare quello che purtroppo sapevamo già: il famoso diritto di cronaca è diventato l’alibi per un’informazione che fomenta l’attenzione di un pubblico morboso ma estremamente utile, un pubblico portatore di click, visualizzazioni, audience, lo stesso che ha creato questo tipo di giornalismo, portatore sano di titoli dai dettagli raccapriccianti, articoli non da meno, immagini di morte che passano tra quotidiani e TV con la stessa scioltezza con la quale Media Shopping passa le televendite. Ma è inutile lamentarsi senza realizzare che quella che abbiamo davanti è la risposta ad una domanda: la nostra. Impariamo a soffermarci esclusivamente dinanzi alle notizie esposte in modo serio da giornalisti altrettanto seri – esistono, credetemi, non sono personaggi delle favole – iniziamo a non cliccare, non guardare, non acquistare quel giornale, smettiamo di fomentare quest’informazione che si preoccupa maniacalmente di numeri e percentuali, ma ignora completamente la dignità umana.
Insomma, fate come me: cambiate canale.
Alessandra Crinzi