Giro di fatture false nella Provincia di Roma, per un valore complessivo di 100 milioni di euro: Guardia di Finanza arresta 11 persone.
Maxi blitz della Guardia di Finanza nella Provincia di Roma, dove i militari hanno scoperto un giro di fatture false. Le società messe sotto la lente d’ingrandimento, gestite principalmente da undici persone legate al mondo dell’imprenditoria italiana, erano riusciti a raccogliere 100 mila euro attraverso i propri illeciti. Le indagini dei finanzieri, oltre al Lazio, hanno portato a verificare episodi anche in Puglia, Emilia-Romagna, Campania, Piemonte, Lombardia e Toscana.
Giro di fatture false in Provincia di Roma
Dal giro di fatture false che aveva preso piede tra la Provincia di Roma e alcuni importanti Comuni d’Italia, i finanzieri sono riusciti a compiere un sequestro di 25 milioni di euro. I militari hanno messo le mani su beni mobili e immobili, appartenuti a undici persone legate un’attività illecita attraverso delle società fittizie. Tra i soggetti fermati in queste ore, troviamo imprenditori attivi sul suolo italiano e liberi professionisti: tutti sono indagati per associazione a delinquere, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, oltre l’auto-riciclaggio.
L’indagine sulla frode all’IVA
Il blitz compiuto dalla Guardia di Finanza è stato l’epilogo delle indagini sulla frode all’IVA, che ha causato l’ammanco per l’Unione Europea e le casse dello Stato Italiano di quasi 25 milioni di euro. Un illecito portato avanti da un gruppo d’imprenditori con la compiacenza di alcuni contabili professionisti: l’imprenditore e il contabile erano soliti dialogare attraverso dei messaggi criptati, per rendere più complesse le indagini delle forze dell’ordine.
Le società cartiere a Roma
La situazione aveva messo le radici tra Nord e Sud Italia, non tralasciando il territorio di Roma. Qui alcuni imprenditori avevano creato delle società cartiere, affidate a prestanome e prive di qualsiasi struttura operativa: quest’ultima caratteristica dimostrabile con la mancanza di dipendenti all’interno di queste realtà. Le realtà erano specializzate nella vendita fittizia di oggetti elettronici, acquistati in altri paesi dell’Unione Europea e comprati da aziende italiane: le società s’intestavano il totale debito IVA, senza che mai la somma venisse versata all’Erario.