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Omicidio Marta Russo, il “delitto perfetto” rimasto avvolto dal mistero

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Il 9 maggio 1997, Marta Russo, studentessa ventiduenne di giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma, fu gravemente ferita da un colpo di pistola mentre passeggiava nel cortile dell’università insieme all’amica Jolanda Ricci. Il proiettile, calibro 22, penetrò la nuca di Marta, causando danni irreversibili. Nonostante i soccorsi e il trasferimento d’urgenza in ospedale, la ragazza morì cinque giorni dopo. 

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Il luogo del delitto di Marta Russo – Ilcorrieredellacittà.com

 

Il caso giudiziario che ne seguì fu complesso e attirò grande attenzione mediatica. Le prime indagini non riuscirono a delineare un movente definito, e diverse ipotesi furono esplorate, tra cui lo scambio di persona, il “delitto perfetto”, il terrorismo e persino uno sparo accidentale. L’atteggiamento dei pubblici ministeri fu oggetto di controversia, con alcune critiche per la loro presunta condotta inquisitiva. 

L’omicidio di Marta Russo

Sono le 11.42 di venerdì 9 maggio 1997, quando la studentessa di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, Marta Russo, 22 anni, cade a terra, mentre passeggia con l’amica Jolanda Ricci nel cortile dell’università. Cosa è stato? Inizialmente si pensa a un sasso, poi si scopre la drammatica verità: Marta è stata colpita da un proiettile che è penetrato sotto l’orecchio sinistro, perforando l’encefalo. 

La giovane studentessa viene trasferita al Policlinico Umberto I, dove morirà cinque giorni dopo, il 14 maggio, senza mai riprendere conoscenza. I genitori di Marta, seppur in un momento di grande dolore, decidono di acconsentire all’espianto degli organi. 

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Genitori Marta Russo – Ilcorrieredellacittà.com

 

Le prime indagini appaiono spinose e complesse. Il delitto appare senza senso, immotivato e senza alcuna spiegazione. Una matassa da dipanare, scandagliando ogni ipotesi. Ancora oggi, nonostante il processo e le condanne definitive, il caso Marta Russo presenta numerosi punti oscuri. Tra le prime ipotesi degli inquirenti c’è lo scambio di persona, poi il “delitto perfetto”, il terrorismo e persino uno sparo accidentale. Nulla però che porti a una pista concreta e percorribile.

L’unica certezza, dopo un’accurata analisi dei Ris, è che il proiettile che ha ucciso Marta sia arrivato da sinistra dall’alto. Il colpo è partito dalla finestra dell’aula 6 del dipartimento di Filosofia del Diritto, come conferma la particella di bario e antimonio ritrovata sulla finestra. Due anni dopo una nuova perizia smentirà la precedente, ma le indagini prendono il via proprio da quell’aula. 

Il registro degli indagati si riempie di nomi. Inizialmente i sospetti ricadono sul bibliotecario di Lettere, Rino Zingale, che viene poi scagionato da tutte le accuse. Poi arriva la testimonianza della dottoranda Maria Chiara Lipari, che riferisce di aver visto nell’aula 6 il professore Bruno Romano, la dipendente Gabriella Alletto e l’usciere Franco Liparota. Romano viene messo ai domiciliari. Gabriella Alletto fa anche il nome di due giovani assistenti: Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. «Ho visto Scattone ritirarsi dalla finestra. Aveva qualcosa in mano che brillava. Ho visto qualcosa che brillava nelle mani di Scattone» sono le parole della testimone, che però viene molto contestata, anche perché inizialmente aveva detto di non essere stata nell’aula 6 la mattina dell’omicidio di Marta Russo. 

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Salvatore Ferraro – Ilcorrieredellacittà.com

 

Scattone e Ferraro: il processo

Salvatore Ferraro ha 30 anni, in tasca un dottorato in Giurisprudenza e lavora come assistente del professor Gaetano Carcaterra; Giovanni Scattone, un anno più giovane, lavora con il professor Bruno Romano. Quando viene arrestato, insieme a Romano, Scattone dichiara di essere innocente, linea che manterrà per tutta la durata del processo e anche oltre.

L’arma non viene mai più ritrovata e manca anche il movente del delitto. La tesi degli inquirenti è che Scattone e Ferraro stessero armeggiando un’arma, forse senza sapere che era carica. Nell’ordinanza di custodia cautelare viene scritto che l’arresto è motivato da «delitto continuato di illegale detenzione e porto in luogo aperto al pubblico di arma da fuoco, aggravato dalla connessione teleologica con il delitto di omicidio volontario in danno di Russo Marta». S’ipotizza quindi che Scattone abbia esploso un colpo per errore o forse voleva dimostrare che il “delitto perfetto” fosse possibile.

Scattone e Ferraro riferiscono di avere un alibi, ma entrambi presentano molte lacune. Il processo prende il via quello stesso anno. L’accusa nell’arringa iniziale è che il «movente è l’assenza di movente». Intanto la testimonianza di Alletto viene colpita da più parti. Radio Radicale diffonde l’audio dell’interrogatorio in cui la supertestimone giura sui suoi figli di non essere mai stata nell’aula 6, mentre due pm la minacciano con un’incriminazione per omicidio. 

L’accusa chiede 18 anni di carcere per Scattone e Ferraro con l’accusa di concorso in omicidio volontario con dolo eventuale e per detenzione di arma da fuoco, concedendo le attenuanti generiche. Il 1° giugno 1999 la giuria condanna Scattone a sette anni di reclusione per omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente e per possesso illegale di arma da fuoco, e Ferraro a quattro anni per favoreggiamento personale. Gli altri imputati vengono tutti assolti.

Nel 2001 la sentenza di secondo grado conferma le accuse per i due imputati, ma aumenta le pene: otto anni per Scattone e sei per Ferraro, cui viene addebitata anche la detenzione illegale di arma da fuoco. In questo secondo grado di giudizio, l’usciere Liparota viene condannato a quattro anni per favoreggiamento. 

Intanto, Scattone e Ferraro possono contare su un grande sostegno popolare. Per i due nasce infatti un comitato, di cui fanno parte, tra gli altri, docenti e giornalisti, che chiedono l’assoluzione perché non esistono prove della loro colpevolezza, mancando arma e movente. 

La Cassazione

La Corte di Cassazione annulla tutte le condanne, ma il nuovo processo che si apre emette nuove sentenze per i tre imputati: sei anni per Scattone, quattro per Ferraro, due per Liparota. Il 15 dicembre 2003 la Corte di Cassazione condanna in via definitiva Giovanni Scattone a cinque anni e quattro mesi per omicidio colposo e Salvatore Ferraro a quattro anni e due mesi per favoreggiamento. L’usciere Francesco Liparota viene definitivamente assolto.

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Giovanni Scattone – Ilcorrieredellacittà.com

 

Per la legge si è trattato di “incidente dovuto a colpa cosciente e omissione delle norme di sicurezza sulle armi”. Il caso Marta Russo si chiude così. Scattone e Ferraro sono tornati liberi. Dichiarano di essere stati entrambi vittime di un errore giudiziario. Nel cortile in cui Marta è caduta, colpita da quel proiettile vagante, sono andati via via sparendo bigliettini e peluche.

 

 

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