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Omicidio Luigi Calabresi, la lunga scia di sangue e il processo infinito

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Luigi Calabresi, commissario di polizia e addetto alla squadra politica, venne assassinato la mattina del 17 maggio del 1972. 

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Omicidio del commissario Luigi Calabresi – Ilcorrieredellacittà.com

 

Solo diversi anni dopo, la Corte di Cassazione giunse alla conclusione di un processo lungo e turbolento, mettendo – nero su bianco – i nomi degli assassini di Luigi Calabresi. Dopo la sentenza di Venezia, sia la corte di appello di Milano che la Corte di Strasburgo hanno negato una riapertura del processo. Le condanne a 22 anni di reclusione per i tre imputati sono rimaste invariate.

La lunga scia di sangue

Sono trascorsi 52 anni da quel 17 maggio del 1972. Sono cambiati i colori della tv, è cambiato il nostro Paese, siamo cambiati noi, ma una cosa è rimasta intatta: l’omicidio di Luigi Calabresi come spartiacque di un’Italia del prima e del dopo. Il delitto del commissario porta il Paese in un tempo nuovo, un tempo terribile. Sono gli anni di piombo, delle manifestazioni e l’inizio di una lunga scia di sangue che durerà almeno 30 anni. 

Un periodo buio, in cui a cadere – come pedine – saranno politici, magistrati e uomini delle forze dell’ordine. Un trentennio che si concluderà con l’omicidio del professor Marco Biagi, nel 2002 a Bologna, per mano di quello che restava delle Brigate Rosse.

L’omicidio di Luigi Calabresi

Sono le ore 9.10 del 17 maggio del 1972. Luigi Calabresi, 34 anni, commissario di polizia e addetto alla squadra politica, saluta la moglie, Gemma Capra, incinta del loro terzo figlio ed esce di casa. Attraversa il cortile del suo condominio in via Cherubini, a Milano. Saluta il portiere dello stabile e si dirige verso la sua auto, una Fiat 500 blu, parcheggiata all’altro lato della strada. Mentre attraversa la strada, da un’Alfa Romeo 2000, guidata da una donna, esce un uomo sulla trentina, giacca blu e maglione a collo alto. Estrae una pistola e colpisce il commissario Luigi Calabresi alla schiena e alla testa, poi risale in auto.

Una vicina di casa, che sta facendo compere in un negozio di casalinghi, incrocia per un attimo lo sguardo del killer. La sua testimonianza si rivelerà fondamentale per disegnare l’identikit del sicario. 

L’auto dei killer si allontana, dirigendosi verso via Mario Pagano. Urta un’altra auto, poi schizza via verso via Rasori e viene abbandonata davanti alla filiale della Banca Popolare di Novara. Intanto, sul luogo del delitto arriva un’ambulanza. Il commissario Calabresi viene trasferito all’ospedale San Carlo di Milano, dove arriva già morto. 

Due anziane residenti racconteranno agli inquirenti di aver notato, la mattina del delitto, un giovane che leggeva un quotidiano appoggiato all’uscio del condominio in cui viveva il commissario. La scena del delitto non fornisce altri dettagli. Due anziane residenti racconteranno agli inquirenti di aver notato, la mattina del delitto, un giovane che leggeva un quotidiano appoggiato all’uscio del condominio in cui viveva il commissario. La scena del delitto non fornisce altri dettagli.

Luigi Calabresi, una laurea in Giurisprudenza, era arrivato a Milano alla vigilia del ’68, con il compito di curare la sinistra extraparlamentare per conto della Digos. Il conto alla rovescia inizia il 12 dicembre del ’69, quando una bomba esplode nella filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura

Muoiono 17 persone e l’evento cambierà il corso della storia politica del nostro Paese. Quello stesso giorno, altri tre ordigni piazzati in altre zone della capitale fanno altre vittime. Inizia la caccia ai colpevoli. Calabresi è convinto sia opera degli estremisti di sinistra, ma il questore Marcello Guida lo smentisce pubblicamente.

La morte di Pinelli

La sera del 15 dicembre, Giuseppe Pinelli, anarchico, arriva in Questura per essere interrogato da Calabresi. Quella sera,  Pinelli si schianta su un’aiuola e muore poco dopo. Il commissario Luigi Calabresi viene indagato per omicidio. La prima inchiesta lo scagiona e così fanno i testimoni che dicono che al momento della caduta di Pinelli, il commissario non era nemmeno nella stanza dalla quale la vittima era precipitata.

giuseppe pinelli
L’omicidio di Giuseppe Pinelli – Ilcorrieredellacittà.com

 

Tutti, fuorché Valitutti. Agli occhi di molti intellettuali, il commissario Calabresi diventa un nemico. Si accende un’onda mediatica, cavalcata anche da Lotta Continua, che – con le sue vignette – disegnerà il profilo di un uomo ben lontano da quello che è in realtà. La verità ben presto viene a galla ed emergono tutte le storture delle prime indagini.

L’omicidio Calabresi resta un mistero insoluto per sedici lunghi anni. Le uniche due piste concrete riguardavano anarchici di sinistra. La prima nasce da un biglietto scritto a mano dal commissario, il 3 novembre 1971, che aveva notato sotto casa due giovani – poi identificati – che appuntavano il suo numero di targa. I due però forniscono un alibi per il giorno del delitto. L’altra pista riguarda l’arrivo dalla Germania, due giorni prima del delitto Calabresi, del militante Angiolino Tullo. Sarà lui stesso a presentarsi in Tribunale a Milano, fornendo il suo alibi. 

È l’estate del 1988, quando quattro persone vengono arrestate per l’omicidio del commissario. Si tratta di Adriano Sofri, vecchio leader di Lotta Continua, Giorgio Pietrostefani, ex dirigente politico, e Ovidio Bompressi. I tre nomi sono stati fatti dal quarto uomo, Leonardo Marino, ex militante di Lotta Continua.

Marino racconta di essere stato lui a guidare la Fiat a bordo della quale viaggiava il killer di Luigi Calabresi, Ovidio Bompressi. A ordinare l’omicidio del commissario erano stati Pietrostefani e Sofri.

Il processo

Inizia così uno dei processi più lunghi nella storia del nostro Paese, con venti sentenze spalmate in 17 anni. Il 2 maggio del 1990 il processo di primo grado si chiude con la condanna di Pietrostefani, Bompressi e Sofri a 22 anni di reclusione. A Marino viene comminata una pena di 11 anni. 

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Le condanne per l’omicidio Calabresi – Ilcorrieredellacittà.com

 

L’anno seguente la corte d’Appello conferma la sentenza. Il 23 ottobre del 1992 la corte di Cassazione ribalta la sentenza, annullando molte prove. Il fascicolo torna a Milano. Sono gli anni di Tangentopoli. Il processo si chiude con la dichiarazione di innocenza dei tre imputati. I giudici popolari si dicono convinti dell’assoluzione, ma i giudici togati esprimono non poche perplessità.

Ecco perché, nell’ottobre del 1994 quell’assoluzione viene annullata dalla Cassazione per incongruenza delle motivazioni. Comincia così un settimo grado di giudizio, sempre al cospetto della Corte di Appello di Milano. Vengono riconfermate le pene a 22 anni di reclusione, con l’aggiunta della prescrizione per il reato di Marino. Nel 1997 la Cassazione conferma le condanne. Qualche mese dopo, i legali dei tre imputati presentano istanza di revisione. 

A marzo del 1998, la richiesta viene bocciata dalla Corte di appello di Milano, cinque mesi dopo la Cassazione la accoglie. È il gennaio del 2000 quando viene messa la parola fine. La Corte di Appello di Venezia, dove nel frattempo si è spostato il processo, conferma le condanne.

Dopo la sentenza di Venezia, sia la corte di appello di Milano che la Corte di Strasburgo hanno negato una riapertura del processo. Le condanne a 22 anni di reclusione per i tre imputati sono rimaste invariate. Dopo aver scontato una parte della pena, Ovidio Bompressi è stato graziato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. 

Dodici anni fa Adriano Sofri è tornato libero, dopo aver scontato una detenzione di 15 anni, di cui sei anni agli arresti domiciliari. Non ha mai avanzato richiesta di grazia.

Dopo una breve detenzione, Giorgio Pietrostefani è fuggito in Francia, dove è stato arrestato il 28 aprile del 2021. Da allora gli è stata concessa la libertà vigilata. 

 

 

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