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La vicenda si riferisce a cinque omicidi commessi dal 1933 al 1946 nei pressi del lago di Alleghe, in un piccolo paesino sulle Dolomiti Bellunesi.
Sui tragici fatti di sangue verrà fatta luce 25 anni dopo, grazie al lavoro certosino di un giornalista e di un carabiniere.
I misteri di Alleghe, lo strano suicidio di Emma De Ventura
È la mattina del 9 maggio del 1933, quando la quiete di Alleghe, un piccolo borgo sulle Dolomiti Bellunesi, viene squarciata da un fatto di sangue. In una stanza dell’Albergo Centrale viene trovato il corpo senza vita di una giovane cameriera, Emma De Ventura, 19 anni.
Ad allertare le autorità è Adelina Da Tos, figlia dei proprietari della struttura ricettiva. La vittima viene trovata nella stanza numero 6, con un profondo taglio alla gola. Su una mensola della stanza viene trovata una boccetta di tintura di iodio, ancora chiusa, e – poco distante – un rasoio con delle tracce di sangue. Secondo il medico e i carabinieri giunti sul posto, la 19enne si sarebbe tolta la vita per motivi amorosi. Non sopportando il dolore generato dalla tintura ingerita, si sarebbe autoinferta la profonda ferita alla gola.
I genitori di Emma però non sono affatto convinti di questa ricostruzione, non riscontrando motivi per cui la figlia avrebbe dovuto togliersi la vita. Ad avvalorare la pista omicida anche il ritrovamento della boccetta, ancora chiusa, e il posizionamento del rasoio. Tutto troppo strano per una che voleva togliersi la vita e che non aveva alcun interesse a rimettere le cose al loro posto.
L’autopsia conferma la tesi di un gesto estremo: nello stomaco della giovane cameriera vengono trovate tracce di tintura di iodio.
Dopo la morte di Emma De Ventura, un altro fatto di sangue irrompe nel piccolo paesino di Alleghe. Il 4 dicembre di quello stesso anno, nelle acque gelide del lago, due ragazzini intenti a pattinare intravedono il corpo di una donna. Si tratta di Carolina Finazzer, 25 anni, che il giorno precedente aveva telefonato alla madre chiedendole di passarla a prendere il prima possibile, proprio mentre era di ritorno dal viaggio di nozze.
Il marito, Aldo Da Tos, non sembra particolarmente turbato dal ritrovamento del cadavere della moglie. Riferisce che la neo sposa soffriva di sonnambulismo, e quindi poteva essere caduta nel lago durante uno di quegli episodi notturni. Nel corpo della donna non viene rilevata alcuna traccia di acqua e sul collo vengono riscontrati diversi ematomi. Nonostante ciò, il decesso viene classificato come un suicidio, sebbene i fatti raccontino altro e tutto ricade – per una seconda volta – nell’oblio.
L’omicidio dei coniugi Del Monego
Dopo tredici anni da quei drammatici fatti, la tranquillità di Alleghe viene squarciata da un duplice omicidio. La notte del 17 novembre 1946, Luigi e Luigia Del Monego, marito e moglie, proprietari di uno spaccio e di una panetteria, vengono freddati con due colpi di pistola nel vicolo La Voi, mentre rientrano a casa dal lavoro. Nessuno si allarma, visto il periodo: nel primo dopoguerra non era insolito sentire colpi d’arma da fuoco, usate per diletto anche dai ragazzini dell’epoca. I corpi dei coniugi vengono ritrovati alle sei del mattino dal fruttivendolo Angelo De Toffol.
I carabinieri ipotizzano subito una rapina finita male, visto che dalla borsetta di Luigia mancano i soldi dell’incasso. Viene incriminato un personaggio già noto alle forze dell’ordine, Luigi Verocai, che però tre anni dopo viene definitivamente scagionato da tutte le accuse.
Il giorno dopo il duplice omicidio, la notizia della morte dei Del Monego arriva all’aspirante giornalista Sergio Saviane, che conosceva personalmente sia le vittime sia Alleghe, dove aveva trascorso molte estati da bambino e inizia a maturare parecchi dubbi sui fatti. Qualche anno dopo, quando viene assunto al settimanale romano «Il lavoro illustrato», propone al caporedattore di approfondire la vicenda di Alleghe e così torna nel paesino per condurre una personale indagine.
Le risposte che riceve sono vaghe, ma la sorella di Luigi Del Monego lo sprona ad andare avanti, così come il barbiere del paese, Cecchine. «Qui regna il terrore, devi agire con cautela. Scrivi tutto». Il 20 aprile esce un articolo, firmato da Saviane, dal titolo evocativo «La Montelepre del nord». Un soprannome che i bellunesi avevano dato al paesino.
Nel pezzo il giornalista suggerisce che gli omicidi di Emma De Ventura, Carolina Finazzer e dei coniugi Del Monego siano stati commessi tutti dalla stessa mano. Pur non essendo mai stati citati, Aldo e Fiore Da Tos querelano Saviane, che viene condannato a otto mesi di carcere con la condizionale e al pagamento di 700mila lire.
L’intervento di Ezio Cesca
L’articolo del giovane giornalista cattura l’attenzione di un vicebrigadiere dei carabinieri, Ezio Cesca, che inizia a indagare sui fatti di sangue. Ottiene ufficialmente la riapertura del caso e va ad Alleghe sotto copertura. Le sue ricerche lo portano presto a individuare due persone che potrebbero sapere molto di più di quanto hanno raccontato: Giuseppe Gasperin, un amico dei Da Tos, e Corona Valt, un’anziana che abita nel vicoletto La Voi, dove sono stati uccisi i Del Monego. Per avvicinarsi a lei, corteggia la figlioccia. Arriva la proposta di matrimonio, e Cesca riesce a entrare nelle grazie di Corona Valt.
La donna gli confida che la notte dell’omicidio dei coniugi Del Monego aveva visto tre persone, tra cui sicuramente una era Giuseppe Gasperin. Per spingerlo a confessare, Ezio Cesca escogita un trucco. Lo fa bere, poi gli chiede se sia in grado di sparare, perché ha un conto in sospeso che deve sistemare. A quel punto Gasperin confessa tutto, raccontando di non essere nuovo a questo genere di cose. Il giorno seguente il militare lo fa convocare in caserma e lo arresta, confessando la sua vera identità. Gasperin fa quindi i nomi dei suoi complici: Pietro De Biasio e Aldo Da Tos, che poco dopo vengono arrestati.
Le condanne
A quel punto viene ricostruita la rete di menzogne e sotterfugi tessuta dai protagonisti del mistero di Alleghe.
Adelina ammette di aver ucciso Emma De Ventura – rea, a suo dire, di avere una relazione con il marito Pietro – con un solo colpo di rasoio, inscenando poi un suicidio. Aldo Da Tos era innamorato di Emma ed era rimasto molto scosso dall’omicidio della giovane cameriera, così il padre lo aveva convinto a sposare Carolina Finazzer. Durante la luna di miele, però, Aldo le aveva spifferato il terribile segreto di famiglia, e così i Da Tos avevano dovuto liberarsi anche della giovane, che era stata strangolata in camera da letto e poi gettata nel fiume.
Quella notte, però, mentre trasportava il corpo della moglie nel lago, Aldo Da Tos era stato visto da una coppia di fidanzati: Luigi e Luigia Del Monego. I due, per anni, non avevano detto nulla, per timore di ritorsioni. Dopo la fine della guerra, erano però iniziate le prime timide confidenze ai conoscenti, tra cui Giuseppe Gasperin, che aveva raccontato tutto ai Da Tos. A quel punto era stato organizzato anche l’omicidio dei coniugi Del Monego.
All’agguato avevano preso parte, oltre a Gasperin, Pietro De Biasio e Aldo Da Tos. L’8 giugno 1960, i giudici condannano Gasperin a trent’anni di carcere e i fratelli De Biasio e Da Tos alla pena dell’ergastolo. La corte d’Appello e la Cassazione avrebbero confermato le sentenze.
Sulla vicenda aleggiano ancora molti dubbi. In particolare, dietro l’omicidio di Emma De Ventura non si celerebbe un movente passionale, ma piuttosto la scoperta dell’esistenza di un figlio illegittimo di Elvira Riva, di cui la cameriera sarebbe venuta a conoscenza poco prima di essere uccisa. L’esistenza di questa persona però non è mai stata accertata. Secondo le testimonianze raccolte da Ezio Cesca, il figlio illegittimo sarebbe stato fatto sparire dai Da Tos prima che la storia potesse arrecare danno alla loro famiglia.