I detenuti a Rebibbia avevano chiesto di aggiungere ai pasti ordinari dei dolci: la risposta della ditta incaricata però ha riacceso le polemiche sulla qualità del cibo e le condizioni alimentari nella mensa del penitenziario.
I detenuti chiedono pasticcini insieme ai pasti ordinari, la ditta di forniture risponde con uno sfottò. Nel menù proposto al carcere di Rebibbia di Roma dalla ditta Ventura, già al centro delle cronache in passato per la qualità del cibo erogata, compaiono anche dei dolcetti di forma fallica. Una scelta discutibile che non ha trovato d’accordo tanto le persone in stato di detenzione, quanto l’ex garante dei detenuti, Gabriella Stramaccioni, che già in passato si era battuta per un regime di alimentazione sano e dignitoso dietro le sbarre.
Dolcetti a forma fallica a Rebibbia: la ripicca della Ventura
Solo pochi mesi fa la Stramaccioni aveva infatti avanzato un esposto in Procura, rendendola partecipe delle condizioni in cui si trovavano diversi detenuti a Rebibbia. Secondo le testimonianza e come già raccontammo, a molti di loro furono proposte come “soluzioni alimentari” carne scadente, cibo rancido, latte annacquato e pasti al limite dell’indecenza. Una situazione che aveva allertato anche i pm Gennaro Varone e Giulia Guccione, che hanno chiesto chiarimenti sulla vicenda, e persino l’ex ministra della Giustizia Cartabia: quest’ultima aveva espresso anche la possibilità di indire una nuova gara d’appalto per la fornitura del cibo negli istituti penitenziari.
La ditta incaricata delle forniture alimentari nel carcere di Rebibbia, la Ventura (appartenente al gruppo Arturo Berselli), è sotto accusa al momento per frode in pubbliche forniture: una situazione che riguarda tanto la qualità del cibo, così come i prezzi del sopravvitto. I detenuti, in questo caso specifico, avevano chiesto alla ditta appaltata di poter distribuire insieme ai pasti ordinari anche dei dolci, come un piccolo “peccato di gola” da assecondare: nonostante la fornitura, pagata in anticipo, la risposta della Ventura invece si sarebbe dimostrata una ripicca, con dolci a forma di pene.
Le indagini dei finanzieri
La situazione va avanti dal 2015 quando, dopo la scadenza dell’appalto con una cooperativa, viene affidata la gestione a un’altra ditta. Vista la mole di segnalazioni da parte dei detenuti di Rebibbia, nel 2021 il caso arriva tramite la Garante per i diritti dei detenuti anche alla Procura di Roma, che apre un’inchiesta. A gennaio 2023 il primo riscontro: gli agenti del Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza, coordinati dal pm Gennaro Varone, hanno campionato il cibo durante un blitz all’interno del carcere di Rebibbia. Le analisi in laboratorio hanno confermato la scarsa qualità degli alimenti, ritenuti non a norma. C’è poi un’altra questione, evidenziata sempre dalla Stramaccioni, che non riguarda solo i prezzi fuori mercato e il cibo scadente: sarebbe la stessa ditta a gestire sia il vitto che il sopravvitto.
La questione del sopravvitto a Rebibbia
Il vitto è il pasto che viene distribuito ai detenuti dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap): colazione, pranzo e cena. Il sopravvitto sono invece i prodotti che i detenuti possono comprare dallo spaccio del carcere. Le aziende che vogliono candidarsi alla distribuzione giornaliera partecipano ai bandi di appalto presentando le relative offerte.
“I problemi che si sono registrati negli anni sono tre”, racconta il Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, “Il primo è relativo allo svolgimento delle gare, per decenni sono state secretate. Il Dap, nel 2017, dopo diverse proteste e denunce da parte dei garanti regionali dei detenuti e delle associazioni, ha eliminato il sistema della segretazione annunciando un corso nuovo”. Le altre due problematiche concernono invece il prezzo di partenza degli alimenti erogati in carcere e la gestione del sopravvitto. “Il nuovo iter ha mantenuto inalterati altri due problemi. Innanzitutto, la partenza della base d’asta per il vitto a soli 3,19 euro”, spiega il Sappe, “Una cifra insufficiente a garantire una qualità minima dei pasti, su cui è intervenuto anche il Consiglio di stato nel 2019. È stato messo in discussione anche l’automatismo che concedeva la gestione del sopravvitto alle stesse imprese che si aggiudicavano la gara per i pasti giornalieri. Per risolvere i due problemi appena menzionati, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha emanato un disciplinare con cui ha aumentato la base d’asta a 5,70 euro e ha lasciato ai provveditorati la possibilità di scorporare i bandi per fornire vitto e sopravvitto”.