Alla scoperta dell’elefante di piazza della Minerva: ecco la storia che lo ribattezzò come “Pulcino” alla metà del 1600.
Quando si parla dell’elefante di piazza della Minerva a Roma, parliamo indubbiamente di una delle opere artistiche più famose della Città Eterna. L’animale rappresentato rispetta delle precise geometrie, essendo alto 3 metri e sostenendo su di sé un obelisco egiziano alto più di 6 metri (precisamente 6,36 metri). Obelisco che storicamente ci venne donato nel 1655 dalla sovrana Cristina di Svezia come dono alla città di Roma.
L’elefante di piazza della Minerva: cosa sappiamo dell’opera
Come tanti altri monumenti e beni artistici presenti nel territorio, anche l’elefante nasce dal genio di Gian Lorenzo Bernini, che ne creò il disegno. A renderlo realtà, però, fu questa volta Ercole Ferrata. Nonostante questo, il Bernini resta una figura centrale nella costruzione dell’opera: fu lo stesso scultore napoletano, all’epoca operante per la Stato Pontificio, a progettare l’animale e anche l’installazione dell’obelisco egiziano sopra di esso.
L’elefante di piazza della Minerva e le critiche della Chiesa
Nonostante si tratti di un capolavoro, l’opera non venne accolta positivamente dalla Chiesa. In particolare, fu osteggiato dai frati dell’ordine dei domenicani, che avevano un convento proprio nei pressi della piazza dove sorgeva l’opera. La critica posta dai religiosi al Bernini fu quella legata al peso dell’obelisco, che per loro non poteva essere retto dalla statua e che conseguentemente poteva danneggiarlo.
L’elefante di piazza della Minerva e l’appellativo porcellino
Alle critiche avanzate dalla Chiesa, Bernini dovette riprendere i mano il progetto dell’elefantino e l’obelisco con l’obiettivo di placare le polemiche sulla sua opera. Per distribuire meglio il peso dell’obelisco, decise di creare un cubo sotto i piedi dell’elefantino. Se da una parte placò le critiche dei frati domenicani, iniziarono però quelle dei cittadini romani, che ribattezzarono l’opera come “Porcin della Minerva” con il termine dispregiativo che significava “piccolo porcellino”.
L’elefante di piazza della Minerva: la trasformazione in pulcino
L’appellativo di “porcin” aveva ragione di esistere esteticamente, poiché i romani notarono un forma fortemente tozza e massiccia dell’elefantino pensato dal Bernini. In una forma già goffa, ulteriore inestetismo lo provocò anche il cubo di sostegno aggiunto successivamente dallo stesso scultore partenopeo.
A salvare l’elefantino sarà però la linguistica, con la graduale trasformazione della lingua italiana parlata in quegli anni a Roma. Nel tempo, la parola “porcin” divenne nell’uso dialettale “purcin”, che in città significa pulcino. Proprio per questa trasformazione linguistica, l’opera venne ribattezzata dal popolo come “Il pulcino della Minerva”. Nome che, con il passare dei secoli, ancora oggi è resistito e viene tramandato dalle guide turistiche che operano nella Città Eterna.
L’elefante della Minerva e l’umorismo dei romani
Ieri più di oggi, le opere artistiche di Roma venivano gelosamente custodite e accudite dalla cittadinanza romana. In tal senso, ecco perchè sull’opera nacque un genuino umorismo, che caratterizzava proprio la romanità in tutta la sua simpatia.