Con i suoi 800 metri quadrati di pittura “a buon fresco”, la Cappella Sistina è il grande capolavoro di Michelangelo Buonarroti, uno dei cicli più importanti della pittura mondiale. Gli affreschi furono iniziati nel maggio del 1508, subendo un’interruzione di circa un anno, dal settembre del 1510 all’agosto del 1511. La Cappella venne inaugurata solennemente da papa Giulio II il primo novembre del 1512, ma ha visto il passaggio di tantissimi grandi architetti e pittori che hanno contributo, ciascuno, con la propria arte a renderla una delle meraviglie del mondo. Se volete visitare i Musei Vaticani, ecco tutto quello che dovete sapere sulla Cappella Sistina.
La Cappella Sistina, dall’idea alla realizzazione
La Cappella Sistina deve il nome al suo committente, il papa Sisto IV della Rovere (1471-1484), che volle edificare un nuovo grande ambiente sul luogo dove già sorgeva la “Cappella Magna”, aula fortificata di età medioevale, destinata ad accogliere le riunioni della corte papale. La sua realizzazione ebbe inizio nel 1475, anno del Giubileo indetto da Sisto IV, e si concluse nel 1483. Fu inaugurata ufficialmente il 15 agosto 1483, quando la Cappella, dedicata alla Vergine Assunta, fu annunciata con solennità dal papa. Il progetto dell’architetto Baccio Pontelli riutilizzava fino a un terzo dell’altezza le murature medioevali.
La costruzione Sistina doveva rispondere a esigenze difensive nei confronti di due pericoli incombenti: la Signoria di Firenze, retta dalla famiglia dei Medici, con i quali il papa era in continua tensione, e i turchi di Maometto II, che proprio in quegli anni minacciavano le coste orientali dell’Italia. Secondo alcuni studiosi, le dimensioni dell’aula (40,23 metri di lunghezza, 13,40 metri di larghezza e 20,70 metri di altezza) ricalcherebbero le misure del grande tempio di Salomone a Gerusalemme, distrutto nel 70 d.C. dai Romani. Ultimata nel 1481 la struttura architettonica, il papa Sisto IV chiamò a lavorare nella Cappella famosi pittori fiorentini, come Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e Signorelli, nonché umbri, quali Perugino e Pinturicchio.
I dipinti della Cappella Sisitna: cosa rappresentano
La Cappella Sistina è un incanto per gli occhi ed è ricca di dettagli realizzati da mani e geni diversi. I dipinti che decorano le pareti laterali, sono divise in tre fasce orizzontali e scandite verticalmente da eleganti lesene. Nella parte inferiore furono realizzati ad affresco finti drappi damascati con le insegne del pontefice; sopra di essi venivano appesi arazzi (alcuni, eseguiti da Raffaello e suoi aiuti nel secondo decennio del Cinquecento, si trovano oggi nella sala a lui dedicata della Pinacoteca Vaticana).
Nella fascia mediana, la più importante, furono dipinte scene di Storie bibliche con episodi della vita di Mosè e di Cristo, entrambi concepiti quali liberatori dell’umanità. In quella superiore, all’altezza delle finestre, furono fatti realizzare da Sisto IV, i ritratti dei primi pontefici, inseriti entro nicchie monocrome, per dimostrare la continuità del suo mandato con i suoi predecessori. Il soffitto della Cappella, come mostra un famoso disegno del Cinquecento oggi agli Uffizi, era stato infine decorato fino alle lunette con stelle dorate su fondo azzurro ad opera del pittore Pier Matteo d’Amelia.
La missione di Michelangelo: quattro anni per affrescare la Cappella Sistina
Toccò quindi al nipote di Sisto IV, l’intraprendente Giuliano della Rovere, divenuto papa con il nome di Giulio II (1503-1513), far completare le decorazioni pittoriche all’interno della Cappella. Egli nell’ambito di grandioso rinnovamento della città, chiamò a Roma Michelangelo Buonarroti (1475-1564), artista già famoso a Firenze e al quale aveva in precedenza affidato altri incarichi, che accettò, non senza iniziali polemiche, di decorare “a fresco” la volta. L’opera venne compiuta in quattro anni di duro lavoro (dal 1508 al 1512) ed ha come tema la storia dell’umanità nel periodo che precede la venuta di Cristo.
La pittura della parete con il “Giudizio Universale” fu eseguita invece dallo stesso artista più tardi: dal 1536 al 1541, su commissione del papa Paolo III Farnese (1534-1549), il quale aveva a sua volta confermato l’incarico del precedente papa Clemente VII (1523-1534). Il tema rappresentato questa volta è il Fato ineluttabile che incombe su tutti gli uomini, del cui destino Dio è arbitro assoluto.
Tutte le storie bibliche della Cappella Sistina: le pareti laterali
Sulle pareti sono rappresentate: sulla sinistra, guardando il Giudizio, le scene tratte dall’Antico Testamento, con le Storie di Mosè, salvatore del popolo ebraico. Sulla destra invece quelle tratte dal Nuovo Testamento con le Storie di Cristo, salvatore di tutta l’umanità. Esse possono quindi essere lette in parallelo. Originariamente comprendevano anche il “Ritrovamento di Mosè” e la “Natività di Gesù”, eseguite sulla parete dell’attuale Giudizio e quindi cancellate da Michelangelo nel 1534.
Il ciclo si conclude nella parete dell’ingresso principale con la “Disputa per la salma di Mosè” e la “Resurrezione di Cristo”, entrambi ridipinti nel Cinquecento. Le scritte in alto, recentemente restaurate, sono chiamate tituli e si riferiscono ai contenuti dei riquadri sottostanti.
La parete di sinistra: l’Antico Testamento
Il primo dipinto, il “Viaggio di Mosè in Egitto”, attribuito al Perugino, rappresenta il momento in cui “Mosè (…) prese sua moglie e i figli, li fece salire sopra un asino e si dispose a tornare in Egitto, portando in mano la verga datagli da Dio” (Esodo 4,20). Ma durante il viaggio – e qui il dipinto si discosta dal racconto biblico – venne fermato da un angelo che gli ordinò la circoncisione del secondogenito (a destra).
Segue il riquadro con le “Prove di Mosè”, opera del Botticelli e della sua bottega. È uno dei più complessi, per il sommarsi di diversi episodi: a destra, l’uccisione di un egiziano che aveva percosso un ebreo, la fuga nel paese di Madian, l’incontro con alcune fanciulle locali e l’abbeveramento del loro gregge, l’apparizione del Signore da un cespuglio di fuoco (a sinistra) e, in alto al centro, l’apparizione di Dio che invita Mosè a togliersi le scarpe al Suo cospetto (Esodo 2,11-20 e 3,1-6). Da notare le due splendide figure femminili in primo piano, tipicamente botticelliane.
Il “Passaggio del Mar Rosso” è attribuito al pittore Biagio d’Antonio (1446-1516). Mosè ed il suo popolo, in fuga dall’Egitto, inseguiti dall’esercito del Faraone, riescono a passare il Mar Rosso perché Dio fa ritirare davanti a loro le acque; queste si richiudono sopra gli Egiziani inseguitori che, in questo modo, muoiono insieme ai loro cavalli (Esodo 14,23-30). In basso a sinistra, una donna suona un inno di ringraziamento al Signore (Esodo 15,1-20).
La “Consegna delle Tavole della Legge”, attribuito a Cosimo Rosselli, illustra il racconto biblico del vitello d’oro: Mosè era asceso al Monte Sinai per ricevere le Tavole della Legge (Esodo 23,12-15), e gli Ebrei, non vedendolo tornare, si radunarono intorno al sacerdote Aronne; quindi raccolsero anelli e oggetti d’oro e foggiarono un vitello da porre sopra un altare per adorarlo. Quando Mosè scese dal Monte con le due Tavole della Legge, vedendo la sua gente che aveva contravvenuto al divieto di rappresentare immagini sacre, le spezzò adirato (Esodo 32,1-19).
Il “Castigo di Core, Datan e Abiron”, del Botticelli, si riferisce alla rivolta contro il Signore, durante il viaggio verso la terra promessa, da parte degli Ebrei, che lamentavano le cattive condizioni di vita cui erano stati costretti da Mosè; ma Dio li punì facendo aprire all’improvviso sotto i loro piedi la terra, che li inghiottì con tutti i loro averi (Numeri 16). Da notare, sullo sfondo della scena, l’Arco di Costantino a Roma.
Anche nel “Testamento e morte di Mosè” del Signorelli sono rappresentati più episodi: a destra, Mosè impartisce la sua benedizione ai figli di Israele (Deuteronomio 33) e, a sinistra, cede la verga del comando a Giosuè. In alto: al centro, l’angelo che indica la terra promessa e, a sinistra, la morte di Mosè.
La parete di destra: il Nuovo Testamento
Il “Battesimo di Cristo”, con episodi tratti dal Vangelo secondo Matteo, è del Perugino. A sinistra è rappresentata la predica di Giovanni, che precede il Battesimo di Cristo; in primo piano l’episodio che dà il nome all’affresco e a destra la predica di Gesù ai seguaci. Da notare, al centro dell’opera, la rappresentazione della Trinità: sopra il Cristo è infatti la colomba dello Spirito Santo e, racchiusa entro un tondo, la figura dell’Eterno circondato da angeli.
Il secondo riquadro illustra le “Tentazioni di Cristo” e la “Purificazione del lebbroso” del Botticelli, episodi tratti sempre dal Vangelo secondo Matteo. Si tratta dei vani tentativi di Satana nei confronti del Cristo (sfida a trasformare le pietre in pani, a gettarsi dall’alto di un tempio facendosi salvare dagli angeli, offerta di tutte le bellezze del mondo mostrategli dall’alto di una rupe) per spingerlo ad adorarlo (Matteo 4,1-11).
La “Vocazione dei primi apostoli” è del Ghirlandaio ed illustra alla lettera il testo biblico (Matteo 4,18-22), rappresentando Gesù che invita i fratelli pescatori Pietro ed Andrea (a sinistra) ad inginocchiarsi davanti a Lui (in primo piano) e chiama a sé Giacomo e Giovanni che si trovano su una barca (leggermente in alto a destra).
Il “Discorso della montagna” (Matteo 5,1-12), attribuito a Cosimo Rosselli, rappresenta: a destra la guarigione del lebbroso (Matteo 8,1-4); a sinistra Cristo mentre pronuncia le famose “beatitudini”. Esso è in correlazione con il dipinto sulla parete opposta dove Mosè riceve le Tavole della Legge.
La “Consegna delle chiavi” della Chiesa da parte di Gesù a Pietro del Perugino è forse il dipinto più bello delle pareti della Cappella Sistina. Sullo sfondo di una pavimentazione in prospettiva, è posto un tempio ottagono tipicamente rinascimentale, affiancato da due archi trionfali simili a quello di Costantino a Roma, quasi a significare la continuità tra passato e presente.
L’”Ultima Cena” di Cosimo Rosselli e Biagio d’Antonio è caratterizzata dalla presenza di un tavolo semiottagonale, cui fanno riscontro analoghe forme delle pareti e del soffitto. Giuda è ritratto di schiena e porta sulle spalle un piccolo diavolo.
Il Giudizio Universale
Venti anni dopo aver terminato la sua opera nella volta, nel 1532 Michelangelo venne incaricato dal papa Clemente VII (1523-1534) di dipingere la parete di fondo dell’aula Sistina; ma cominciò il lavoro soltanto nel 1536 sotto il papa successivo, Paolo III Farnese (1534-1549), e lo concluse nel 1541, quando il 13 ottobre, con una solenne cerimonia, fu scoperto il grandioso affresco.
Esso doveva anche costituire il simbolo della ritrovata supremazia del Papato dopo i tragici avvenimenti del 1527, in cui la città era stata messa al sacco dalle milizie mercenarie tedesche dei Lanzichenecchi, e dopo la crisi luterana che tanto aveva scosso l’autorità della Chiesa di Roma.
Seppure ispirata ai testi biblici, in particolare al libro dell’Apocalisse, nonché alla Divina Commedia di Dante Alighieri, prevale nell’opera di Michelangelo la tragica visione filosofica dell’artista: al centro è Cristo che, affiancato dalla Madonna, con un semplice movimento delle braccia decide l’ineluttabile destino ultraterreno degli uomini. Per alcuni vi sarà la salvezza (rappresentata dalle figure, a sinistra, che salgono verso il cielo), per i più vi sarà la condanna alla dannazione (i nudi, a destra, che precipitano verso l’Inferno).
Le figure si muovono come in un turbine, sullo sfondo di un cielo azzurro privo di supporto architettonico. I defunti, in basso a sinistra, i cui scheletri riacquistano progressivamente consistenza fino alla completa reincarnazione, sono svegliati dal lungo sonno dalle trombe degli angeli. Questi ultimi, privi di ali, sono posizionati al centro del dipinto e mostrano due libri: uno, più piccolo, tenuto in mano dall’Arcangelo Michele, che contiene i nomi dei beati, l’altro più grande, con l’elenco dei dannati.
A sinistra del Cristo sono riconoscibili: Sant’Andrea, di spalle, con la sua croce; San Giovanni Battista, dal corpo possente, che potrebbe rappresentare Adamo. In basso si trovano invece: San Lorenzo, con una scala per ricordare il supplizio subìto su una graticola posta sopra carboni ardenti; San Bartolomeo, che tiene in mano una pelle umana svuotata della carne (secondo alcuni, sarebbe il ritratto di Michelangelo). A destra è possibile distinguere: San Pietro, con il volto del papa committente Paolo III che porge le chiavi, una argentata e l’altra dorata; al di sotto San Biagio, che mostra i pettini di ferro della sua tortura e Santa Caterina d’Alessandria, con una mezzaluna dentata, allusiva al modo in cui fu martirizzata (queste due figure, soprattutto la prima, hanno subìto un consistente rifacimento nel 1565 per correggerne la posa, considerata impudica); a fianco è San Sebastiano, inginocchiato e con le frecce in mano.
Poco più in basso sempre a destra, è la celebre figura di un dannato nell’atto di coprirsi un occhio, spaventato dalla terribile visione. Da sottolineare, ancora, la scena che ha come protagonista Caronte, mitico traghettatore presente nell’Eneide di Virgilio e nella Divina Commedia di Dante: egli spinge le anime dei peccatori fuori dalla barca verso l’Inferno per abbandonarli al loro drammatico destino. Questo gruppo è concluso, verso l’angolo, dalla figura di Biagio da Cesena, cerimoniere papale che aveva giudicato l’opera di Michelangelo degna di una sala da bagno o di una osteria: per vendicarsi, l’artista lo aveva rappresentato con le sembianze di Minosse, uno dei giudici dell’aldilà nella mitologia greco-romana, nell’atto d’indicare ai dannati il girone cui erano destinati, attraverso il numero delle spire di serpente avvolte sul suo corpo. Nell’alto dell’affresco, infine, sono rappresentati i simboli della passione di Cristo: la croce, la corona di spine, i dadi con cui giocarono le guardie, la colonna della Flagellazione, la spugna con cui era stato abbeverato.