Nella sentenza impugnata è fondato il vizio “laddove i giudici” di secondo grado “hanno ritenuto dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la circostanza dell’avere l’imputato” Elder “pacificamente a digiuno della lingua italiana, compreso di essersi venuto a trovare, in quei drammatici frangenti, di fronte a due Carabinieri”. E’ quanto scrivono i giudici della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui hanno disposto un appello-bis per Lee Elder Finnegan e Gabriele Natale Hjorth, i due cittadini americani accusati dell’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri, Mario Cerciello Rega, avvenuto a Roma nel luglio del 2019. E’ quanto ha riportato l’agenzia di stampa Ansa.
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Le motivazioni della cassazione
Per Elder la condanna a 24 anni venne annullata con rinvio sulle circostanze aggravanti e sulla sussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale. Per Gabriele Natale Hjorth l’annullamento con rinvio riguarda l’accusa di concorso in omicidio.
Nell’atto i giudici di Cassazione affermano che la corte di Corte di Assise di Appello della Capitale “ha basato il suo convincimento” sull’elemento che “la parola ‘carabinieri’ è ampiamente conosciuta anche all’estero. Un assunto che, non essendo in alcun modo sviluppato, né correlato a ragionevoli termini esperienziali, logici, oppure a dati obiettivi, finisce con il proporre una mera ipotesi congetturale (oltretutto inficiata da un generico ed incompleto riferimento all’ ‘estero’, che neppure individua i Paesi presso i quali il vocabolo sarebbe, in tesi, conosciuto”).
L’omicidio del vicebridagiere Mario Cerciello Rega
Per la Suprema Corte è “evidente, che se la parola ‘Carabiniere/i’ fosse conosciuta, ad esempio, in Spagna e in America latina, si tratterebbe, pur sempre, di un ‘estero’ che non comprende gli Stati Uniti d’America dove vive l’imputato”. Alla luce di ciò per la Cassazione “non può all’evidenza fondarsi il convincimento circa la esatta percezione e comprensione della qualifica in discussione da parte dell’imputato Elder, del quale la stessa Corte di merito ha messo in rilievo, a più riprese, l’ignoranza della lingua italiana”.
In riferimento, quindi, all’accusa di resistenza a pubblico ufficiale i giudici scrivono che è ” necessario che l’autore del fatto sia consapevole che il soggetto contro il quale è diretta la violenza o la minaccia rivesta la qualità di pubblico ufficiale e stia svolgendo un’attività del proprio ufficio”.