Dominano una buona parte dello skyline di Roma, sono anch’essi simbolo della Città Eterna. Capolavori di ingegneria, rispetto ai mezzi e alle conoscenze dell’epoca, gli acquedotti romani, oltre ad avere una chiara funzione, sono delle vere e proprie opere architettoniche e artistiche. È stupefacente come, già nel 312 a.C., i romani avessero capito come rispondere ad una delle esigenze primarie della popolazione; l’accesso ad acqua potabile e di qualità.
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Imponenti strutture idrauliche
È questo elemento, l’acqua, ad aver determinato in ultima analisi la rivoluzione demografica di Roma. Ed è uno degli aspetti vincenti dell’espansione dell’Impero. Già, perché avere accesso all’acqua potabile significa anche igiene. E igiene significa minore possibilità di contrarre malattie e generare epidemie. Dunque la popolazione, a partire dalla costruzione dell’acquedotto più antico, l’Aqua Appia, cresce sensibilmente. Allora, perché erano così alti? Molto semplice ed intuitivo. La maggior parte degli acquedotti, e per la maggior parte del loro percorso, sfruttavano la sola forza di gravità per far scorrere le acque. Era necessario, spesso, raggiungere la sorgente ad una certa altitudine. Poi, con una inclinazione progressiva e continua del 2 percento, l’acqua scorreva fino alla sua destinazione. Prima di progettare queste strutture Roma sfruttava le acque del Tevere, oltre a quelle piovane.
Il nodo dell’inquinamento
Ma l’inquinamento costituiva un problema importante; spesso la popolazione moriva per epidemie causate proprio dalla presenza di batteri pericolosi nelle acque del celebre fiume. Per questo i romani lavorarono al fine di raggiungere le sorgenti, poste anche a distanze ragguardevoli. Va da sé, viste le conoscenze dell’epoca, che la forza di gravità doveva costituire un prezioso alleato. Le principali testimonianze sull’architettura degli acquedotti romani sono a carico di Vitruvio, con suo De Architectura.
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Funzionamento
Raccoglievano quindi acque da varie sorgenti naturali, alcune poste a notevole distanza da Roma. La più lontana era quella dell’Anio Novus, a circa 87 chilometri dalla città. La sorgente veniva accuratamente scelta in base alla purezza, al sapore, alla temperatura e alle supposte proprietà medicamentose dell’acqua. Al fine di determinare ciò i liquidi venivano precedentemente somministrati agli animali. Non c’era altra forza, se non quella di gravità, che muoveva le acque. Ovvero l’acquedotto agiva da scivolo perpetuo per tutto il tragitto che separava la sorgente dal punto di sbocco. Come dicevamo sopra, al fine di ottenere questo risultato, ogni struttura veniva progettata in modo che ogni singola parte del tracciato corresse leggermente più in basso di quella precedente. La pendenza media era di circa il 2 percento e gli ingegneri romani erano molto abili in questo tipo di costruzione.
Strumenti
Disponevano di diversi strumenti, anche piuttosto sofisticati. Possedevano la livella ad acqua (Libra), abbastanza simile a quella utilizzata oggi. Il chorobates e la dioptra erano altri elementi a vantaggio dei romani. Prima di essere incanalata, l’acqua procedeva verso delle sorte di contenitori, detti piscinae limariae. Qui il flusso rallentava e ciò aveva un obiettivo ben preciso. Cioè la purificazione; i liquidi si fermavano e le parti più pesanti, come fango o detriti, si depositavano nel fondo. Con questa sedimentazione ecco una prima grossolana pulizia. Nel percorso, alcune parti dell’acquedotto potevano essere sotterranee. Scavando pozzi verticali si raggiungeva l’altezza richiesta a fine di mantenere il tracciato in discesa, e quindi in questo caso il canale veniva scavato nella roccia. Era denominato specus. Per le parti in superficie gli elementi strutturali venivano rinforzati con una palizzata. Tutti gli acquedotti erano pubblici, di proprietà del governo e a beneficio di tutti i cittadini. Danneggiare gli acquedotti, o inquinarli, erano atti puniti assai severamente. Idem per chi utilizzava le acque per terreni privati, collegandosi illegalmente alle condutture pubbliche. Esistevano certamente fenomeni di uso privato, ma potevano utilizzare solo l’acqua in eccesso che raggiungeva la città e per questo si pagava un salato tributo.