Oltre che dei suoi monumenti, dei suoi palazzi e delle sue chiese, una città è fatta anche dei riflessi delle sue storie e della vita che la attraversa. Una vita che, a Roma, è sempre stata scandita da riti, feste, ricorrenze, anniversari, celebrazioni: un fitto calendario di appuntamenti fissi che, con il loro carico di tradizioni, rappresentavano un’occasione di riflessione, tanto religiosa quanto civile, di incontro, condivisione e divertimento, stagione dopo stagione. Così, per vivere appieno Roma e sentirsi dentro alla sua storia, ecco alcuni dei momenti speciali della città, di oggi e di ieri, per il mese di ottobre.
Le ottobrate romane
L’estate romana non finisce con l’equinozio di autunno e così, in una di quelle giornate magicamente luminose e tiepide, con interminabili tramonti arancioni, qualcuno finirà con l’esclamare: “che bella ottobrata!”. Le vere ottobrate di una volta, però, nella Roma dei Papi, erano una cosa seria, una tradizione da rispettare a costo di ricorrere al Monte dei Pegni. Perché rinunciare alle feste e alle scampagnate che chiudevano la stagione della vendemmia era semplicemente fuori discussione.
Per tutto il mese, la domenica o il giovedì mattina, carrozze e carretti si affrettavano a raggiungere le campagne, le vigne e i frutteti “fuori porta” o dentro la città, come i “prati del popolo romano” ai piedi del monte Testaccio, le cui celebri “catacombe del vino” esercitavano una forte, costante attrazione. Il cibo e il vino a fiumi fungevano da collante sociale e, dopo una giornata di giochi, balli e stornelli, il ritorno a casa era molto più chiassoso e movimentato della partenza.
L’usanza è terminata ai primi del Novecento ma il suo spirito, in fondo, è rimasto vivo. Per festeggiare l’ottobre romano possiamo regalarci, per esempio, una gita ai Castelli Romani, magari la prima domenica del mese quando a Marino si svolge l’antica Sagra dell’Uva. O semplicemente ammirare il foliage nelle ville della città, rese incantevoli dall’arte e dalla natura. Una su tutte Villa Borghese, che nelle domeniche di ottobre apriva i suoi cancelli al pubblico già dalla fine del Settecento, per gentile concessione dei principi.
San Francesco, 4 ottobre
“Il più italiano dei santi e il più santo degli italiani”. Così lo definì Pio XII quando proclamò San Francesco patrono d’Italia, dichiarato santo appena due anni dopo la morte, avvenuta ad Assisi il 4 ottobre nel 1226. Rivoluzionario nella dottrina e nella scelta della povertà ma devoto e obbediente alla Chiesa e al pontefice, fino al 1223 Francesco si recò più volte a Roma e tanti sono i luoghi della città citati nelle fonti francescane, per esempio San Pietro, San Giovanni in Laterano e Santa Sabina, la basilica dove avrebbe incontrato San Domenico.
È in uno di questi soggiorni che Francesco conobbe una nobildonna romana che diventerà una delle figure più rappresentative del francescanesimo primitivo romano. Da Giacoma o Jacopa de’ Settesoli, che Francesco chiama affettuosamente “Frate Jacopa”, deriva anche lo speciale rapporto che il Rione Trastevere ha con il santo: sarà lei a ottenere dai Benedettini di San Cosimato in Trastevere la cessione dell’ospizio di San Biagio dove Francesco aveva soggiornato, che diventerà il primo luogo romano dei Frati Minori.
Nella chiesa, poi chiamata San Francesco a Ripa, si custodiscono alcune delle reliquie del santo e il sasso dove avrebbe posato il capo, ma anche un ritratto a figura intera realizzato da Margaritone d’Arezzo alla fine del Duecento. Ogni anno, in ricordo di Francesco, il rione e la chiesa organizzano celebrazioni liturgiche e festeggiamenti. E non possono mancare i famosi “Mostaccioli” di Jacopa de’ Settesoli, fatti con miele, zucchero e mandorle: un piccolo peccato di gola a cui Francesco non volle rinunciare neppure alla fine dei suoi giorni, al punto da scrivere alla donna di affrettarsi a raggiungerlo alla Porziuncola portando con sé quei biscotti “boni e profumosi”.
La fioritura autunnale al roseto comunale, 8-23 ottobre
La vera bellezza non sfiorisce, anzi a volte rifiorisce. Per averne una prova, basta visitare il roseto comunale di Roma, un angolo di pace e armonia adagiato sulle pendici dell’Aventino, di fronte ai resti del Palatino e a pochi passi dal Circo Massimo, un luogo dedicato ai fiori fin dall’antichità perché proprio qui, come racconta lo storico romano Tacito, sorgeva il tempio dedicato alla dea Flora.
Anche se di dimensioni contenute, il giardino ospita oltre mille varietà di rose botaniche, antiche e moderne, un patrimonio straordinario che permette di ripercorrere la storia e l’evoluzione di uno dei fiori più amati e celebrati al mondo. Il loro momento clou è tradizionalmente tra aprile e maggio ma ci sono alcune varietà che tornano a fiorire in autunno. Così, rispettando una tradizione ormai consolidata, il roseto apre le sue porte al pubblico anche nel mese di ottobre, per consentire a visitatori, turisti e curiosi di ammirare, per due settimane, il rinnovato spettacolo di profumi e colori.
Il sabato nero del ghetto di Roma, 16 ottobre
Il rastrellamento del ghetto aprì una ferita ancora oggi dolorosa nel tessuto della città e la sua portata e il suo orrore ne fanno uno degli emblemi della Shoah in Italia. Ogni anno, dal 1994, la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità ebraica di Roma si impegnano a mantenerne viva la memoria, con una marcia silenziosa che da piazza Santa Maria in Trastevere si conclude presso il Tempio Maggiore di Roma, nel luogo della memoria oggi intitolato “Largo 16 ottobre 1943”.
All’alba del 16 ottobre 1943, da poco più di un mese Roma era nelle mani degli ex alleati tedeschi. Alle 5.15 del mattino, le SS invasero le strade del Portico d’Ottavia. Fecero irruzione nelle case degli ebrei di Roma, che le leggi razziali del 1938 contribuirono a schedare. La data non fuscelta a caso: è sabato, il giorno del riposo per la comunità ebraica, ed è anche la festa di Sukkot.
Uomini, donne, bambini, anziani, ammalati, spesso sorpresi nel sonno, caricati a forza sui camion e portati al Collegio Militare di Palazzo Salviati, a pochi passi dal Vaticano e dal pontefice, che non pronuncerà alcuna pubblica dichiarazione di condanna. Due giorni dopo, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina: dei 1.022 ebrei romani deportati ad Auschwitz, torneranno a casa solo in 16.
La battaglia di Ponte Milvio, 28 ottobre
Il 28 ottobre, inoltre, ripercorre la commemorazione di una battaglia morto importante a Roma, perché segnò il passaggio della civiltà al cristianesimo. Nel 312 d.C. il mondo occidentale si apprestava a cambiare radicalmente pelle. La complicata guerra civile che agitava l’impero ancora per alcuni anni vedeva contrapposti Costantino e Massenzio, che a Roma si era autoproclamato Augusto con il sostegno del Senato. Non disposto a riconoscerlo, Costantino attraversò le Alpi, si impadronì di un buon numero di città e arrivò rapidamente alle porte di Roma.
La mattina del 28 ottobre, Massenzio gli andò incontro in campo aperto. Sulle esatte dinamiche del combattimento che infuriò presso Ponte Milvio le fonti sono confuse e scarne, ma il finale è storia: la disastrosa disfatta delle truppe di Massenzio, che morirà annegando nel Tevere. A guidare Costantino nella vittoria, raccontano poi i cronisti cristiani, sarebbe stato un segno celeste: la sera prima della battaglia, mentre era accampato presso Malborghetto, Costantino avrebbe avuto la visione di una croce nel cielo stellato, con una scritta in greco resa in latino nel celebre “in hoc signo vinces”, un evento che avrebbe segnato l’inizio della sua conversione al cristianesimo.
Nessun simbolo cristiano compare invero sui fregi del grande arco eretto prontamente accanto al Colosseo per celebrare il trionfo del nuovo imperatore d’Occidente ma la battaglia sarà da lì in avanti considerata l’emblema del paganesimo sconfitto dall’avanzata del nuovo impero cristiano. E a ragione: l’anno successivo l’editto di Milano sancirà definitivamente la libertà di culto, il primo passo del processo che porterà la religione cristiana a essere non più soltanto lecita ma la sola consentita.