Continua il nostro viaggio quotidiano alla scoperta di storie e curiosità di Roma e del Lazio. Oggi siamo nella Capitale d’Italia e più precisamente in una delle vie più famose e iconiche della Città Eterna: via del Corso. In questa strada c’è la chiesa di San Marcello, unica nel suo genere. Perché al suo interno c’è un ‘miracoloso’ tesoro. Naturalmente si tratta di una leggenda, liberi di crederci o meno. Noi ve la raccontiamo.
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Un po’ di storia
Prima di addentrarci in quello che è il focus del giorno, come sempre un po’ di storia. Ci rifacciamo al sito turistico ufficiale del Comune di Roma per parlare della chiesa di San Marcello.
Situata in una piccola piazza lungo via del Corso, nel Rione Trevi, fu una delle prime chiese cristiane della città. E’ dedicata secondo la tradizione a papa Marcello I, condannato da Massenzio a compiere i lavori più umili nelle stalle del catabulum, il servizio postale imperiale.
La prima notizia della sua esistenza risale all’inizio del V secolo, in una lettera con cui il Prefetto di Roma Simmaco informava l’imperatore Onorio della contemporanea elezione di papa Bonifacio I nella chiesa di Marcello, e dell’antipapa Eulalio nella basilica lateranense. Davanti alla chiesa, che all’epoca guardava verso piazza Santi Apostoli, fu trascinato il cadavere di Cola di Rienzo, linciato dal popolo l’8 settembre 1354.
Il catastrofico incendio del 1519
Nella notte del 22 maggio 1519 un violento incendio distrusse quasi completamente la chiesa di San Marcello. Dalle fiamme si salvò soltanto un grande crocifisso ligneo del Quattrocento, ancora oggi oggetto di grande venerazione. Il progetto per la ricostruzione della chiesa fu affidato a Jacopo Sansovino, che modificò l’orientamento della chiesa, rivolgendo l’ingresso principale verso la prestigiosa via del Corso.
Alla direzione dei lavori si susseguirono diversi architetti, tra i quali Nanni di Baccio Bigio e suo figlio Annibale Lippi mentre la decorazione dell’interno proseguì fino al Settecento. La movimentata facciata tardo barocca, concava e interamente in travertino, fu realizzata alla fine del Seicento da Carlo Fontana. L’interno della chiesa è a navata unica, con cinque cappelle riccamente decorate per lato e uno splendido soffitto cinquecentesco a lacunari lignei.
Tra le opere d’arte più importanti vi sono: la grande Crocifissione seicentesca con le Storie della Passione che occupano la controfacciata, le Storie della Vergine di Francesco Salviati nella Cappella Grifoni e, nella Cappella di San Paolo, i tre busti della famiglia Frangipane scolpiti da Alessandro Algardi, la pala d’altare con la Conversione di San Paolo di Federico Zuccari e gli affreschi con scene della vita del santo realizzati dal fratello Taddeo Zuccari.
Il ‘miracoloso’ crocifisso nella chiesa di San Marcello
La quarta cappella a destra custodisce il crocifisso rimasto illeso nel grande incendio. Al crocifisso venne attribuito anche il prodigio di aver fermato la peste del 1522, dopo essere stato portato in processione in tutti i rioni della città per ben 16 giorni.
Il 22 maggio 1519 un incendio distrusse la chiesa. Dall’incendio si salvò un antico crocifisso in legno del XIV secolo. Il fatto apparve miracoloso, e ne nacque un gruppo di preghiera che fu detto “Compagnia del SS. Crocifisso”.
Tre anni dopo, nel 1522, la città fu colpita dalla peste. Il crocifisso fu tratto fuori dal convento che lo ospitava e portato in processione per la città per ben 16 giorni, dal 4 al 20 agosto, al termine dei quali la peste si fermò. La processione del Crocifisso continuò così ad essere ripetuta per secoli, il giovedì santo, lungo il percorso da San Marcello a San Pietro. La Compagnia, divenuta Arciconfraternita, si trasferì poi (nel 1568) nel vicino Oratorio del Crocifisso.
Gli affreschi della volta della cappella raffigurano la creazione di Eva e gli Evangelisti e sono opera di Perin del Vaga e di Daniele da Volterra, su cartoni dello stesso Perin del Vaga. Il fondo della navata ospita anche il doppio monumento funebre del vescovo Antonio Orso e del cardinale Giovanni Michiel, attribuito tradizionalmente a Jacopo Sansovino.
Il cardinale, candidato al papato nel conclave del 1492, era morto per avvelenamento il 14 aprile del 1503: dell’omicidio fu accusato il cuoco anche se la voce popolare indicava insistentemente come colpevole Cesare Borgia.