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Brindare nell’Antica Roma, perché anche all’epoca ci si guardava negli occhi?

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Anche nel vino c’è una storia che risale addirittura ai Fenici. Furono questi ultimi a introdurre la bevanda in Grecia, dando impulso alla coltivazione delle vigne e, a seguire, quando l’Italia divenne colonia greca, arrivò anche nel nostro Paese la viticoltura e immancabilmente il vino. Grazie agli Etruschi e poi Romani entrò nella tradizione  consumare vino durante i pasti. Ma si trattava di un lusso che, almeno inizialmente, veniva riservato solo al capofamiglia e, soprattutto, agli uomini. Si trattava di una bevanda assai più forte e liquorosa di quella che oggi troviamo sulle nostre tavole e, proprio per mitigare questa robustezza del gusto, era usanza diluirlo con l’acqua, non solo in quanto era assai vigoroso, ma perché si trattava di una concessione riservata alle grandi occasioni.

Bere vino per celebrare gli Dei

Quali migliori occasioni di quelle nelle quali venivano celebrati gli dei? Ed è così che, probabilmente prima nella Magna Grecia, poi anche a Roma, nasce l’usanza del brindisi, un saluto con un ‘liquido’ considerato prezioso alle divinità che segnavano larga parte della vita nell’antichità. Anche se, volendo essere più precisi si ritiene che il termine nasca dalla locuzione tedesca (ich) bringe dir’s, ‘lo porto a te’, intendendo ‘porto a te il bicchiere’ , o meglio ‘lo bevo alla tua salute’.

Il significato del brindisi: come nasce e perchè bisogna guardarsi negli occhi

Con il trascorrere del tempo il brindisi ha acquistato sempre più un significato di convivialità e di amicizia. Brindare alla salute dei commensali, soprattutto nell’antica Roma, aveva un peso specifico di rispetto, onestà e fiducia. Insomma il brindisi e far suonare i calici uno con l’altro ha assunto una valenza precisa: si trattava di un rito che doveva essere compiuto rivolgendo gli occhi agli altri commensali a testimonianza di sincerità e lealtà. Chi avesse distolto lo sguardo o avesse manifestato inquietudine o addirittura paura avrebbe potuto nascondere un segreto, il peggiore: che quel calice era avvelenato. Eventuali comportamenti controversi da parte di uno o più commensali potevano comportare il cambio del bicchiere, facendo finire il vino avvelenato nelle mani di colui che aveva alterato la bevanda mettendo a rischio la vita degli altri. Da qui nasce anche l’sansa di toccare un calice con l’altro durante il brindisi, in maniera che il vino finisse anche nel bicchiere dell’altro, a garanzia che non ci fosse veleno.

Il vino diventa per i romani una bevanda irrinunciabile

Per i romani il vino era irrinunciabile e l’Italia aveva una conformazione territoriale che consentiva la coltivazione delle viti. In particolare le prime coltivazioni sono nate in Campania, da dove nasce il Falernum. Ma c’erano anche il Caecubum, proveniente dai Monti Cecubi nelle colline a ridosso di Sperlonga, ma nel territorio di Itri, provincia di Latina. C’era poi anche l’Albanum, che ha origine sui Colli Albani, assai apprezzato e conosciuto anche come ‘Il Marino’.

Qual era il procedimento di trasformazione dell’uva in vino

La coltivazione e la trasformazione dell’uva, ha acquisito per i romani un’importanza fondamentale. Il processo di vinificazione aveva un iter ben preciso: la vendemmia quando i grappoli erano ben maturi, mentre quelli ancora non pronti venivano riservati alla realizzazione del vino per gli schiavi. Se il vino risultava torbido veniva schiarito con i bianchi d’uovo montato a neve o con latte di capra. Ma la fermentazione non era controllata, quindi era assai diverso il grado alcolico. C’era poi l’usanza di mischiare i vini meno pregiati, aggiungendo anche miele, sale, resina e non di meno anche erbe ed essenze vegetali. Diversamente, invece, i vini di pregio non si toccavano e venivano consumati così come erano in anfore realizzate appositamente che venivano chiamate seriae, capaci di contenere fino a venti litri di quello che tutt’ora viene definito ‘succo degli dei’ per la rilevanza che ricopre in una tavola imbandita.

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