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Partiva dall’Umbria per comprare la droga a Roma durante il lockdown: condannato

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Un cinquantenne umbro condannato per l'acquisto di droga a Roma durante il lockdown, trasportata poi in Umbria.

Era stato fermato durante il viaggio di ritorno da Roma alla sua residenza umbra in provincia di Perugia in pieno lockdown. E trovato in possesso di un panetto di hashish di circa novanta grammi di peso e quattro involucri contenenti cocaina. La giustificazione del cinquantenne umbro era stata questa: “Sono un consumatore abituale. Temo che a causa delle regole sul confinamento potrei rimanere senza stupefacente“. In particolare l’uomo sosteneva che la droga era destinata soprattutto al consumo durante gli ultimi giorni dell’anno, presso la propria abitazione.

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Il Palazzaccio rigetta il ricorso

Così il cinquantenne ha dovuto affrontare tre gradi di giudizio, fino alla definitiva sentenza in Cassazione. Al Palazzaccio i togati hanno rigettato l’ultimo ricorso confermando la condanna a suo carico di due mesi e venti giorni di reclusione, pena sospesa, oltre al pagamento delle spese processuali e 1.067 euro di multa. Il ricorrente ha basato la sua difesa sullo stato permanente di tossicodipendenza e sul consumo personale, giustificando il quantitativo di hashish (dal quale sarebbe stato possibile ricavare 444 dosi singole) con il timore di rimanere a secco. Ciò a causa delle norme di allora sul confinamento domiciliare a causa della pandemia di Covid 19.

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Per i giudici il procedimento penale è corretto

I togati suffragano tutti gli elementi di correttezza in ordine al procedimento penale subìto dall’uomo. Dalle circostanze dell’arresto, al valore ponderale della droga leggera. Sottolineano la presenza degli involucri di cocaina in luogo delle circostanze abituali di assuntore di sola cannabis e, inoltre, si legge nella sentenza, alle “addotte giustificazioni in ordine al possesso di sostanza acquistata in Roma, e trasportata in Umbria in periodo, tra l’altro, di limitazioni alla circolazione per l’emergenza sanitaria“. Rispetto a questo il ricorso è risultato inammissibile e ora l’uomo dovrà anche versare ulteriori tremila euro presso la Cassa delle Ammende.

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