“Io due cose so fare nella vita. I gol e il muratore“. Questo è Christian Riganò. Un uomo semplice, con i piedi ben piantati a terra, e amato da tutti a Firenze. Nel capoluogo toscano nessuno si è dimenticato di lui. Il bomber degli anni della vergogna, quelli degli abissi della C2 dopo il crack firmato Cecchi Gori. Lui, come fosse stata un nudo terreno, ha contribuito a ricostruire quella Fiorentina, talmente umiliata che nemmeno poteva più chiamarsi così. Florentia l’hanno denominata per un periodo.
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“Così sono tornato a fare il mio mestiere. Ne vado orgoglioso”
“Nessuno mi ha più chiamato dopo che ho smesso di giocare. Nessuna chiamata per allenare, quindi sono tornato a fare il mio lavoro“, ha detto Riganò al Corriere della Sera. Una intervista rilasciata a due passi da Ponte Vecchio, in una giornata caldissima. E lui a rispondere serenamente con la cazzuola in mano, in mezzo ai colleghi muratori. “Sì, sono io, Christian Riganò“, dice a chi lo guarda incredulo. Trecento gol in 520 partite, una media pazzesca, accumulata giocando dalla seconda categoria alla Serie A. Tutta la gavetta si è fatto Riganò, fino a sfiorare la convocazione in nazionale. Il ragazzo di Lipari, tanta è stata anche allora la sua modestia, ricorda benissimo il giorno che lo vollero tra i grandi. “Ero al Taranto. Mi chiamò Giovanni Galli, chiedendomi di andare alla Fiorentina, che era finita in C2 dopo il fallimento di Cecchi Gori. Alla prima telefonata riattaccai, pensavo fosse uno scherzo”. C’è da credergli: lui nella sua isola faceva il manovale tutto il giorno. Poi alla sera ad allenarsi, a fare le ripetute, come se non ci fosse un domani.
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“Io sono questo. Amo costruire e riparare le cose”
Non batte ciglio, lui è orgoglioso di questo mestiere. E pensare che era arrivato a giocare contro Batistuta, Del Piero, Totti. Ma dice il buon Christian: “Sì, ho guadagnato bene e ne sono felice. Nella mia intera carriera, però, ho incassato quanto molti giocatori di media fascia oggi guadagnano in due tre mesi. Così, poi, bisogna tornare a lavorare”. E sottolinea: “Ho preso due patentini per allenare… Amo il calcio, ma si vede che non sono adatto per quello di oggi, fatto principalmente di sponsor, non accetto compromessi. Certo, se poi arrivasse la chiamata giusta sarei pronto a tornare in panchina”. Oggi vive a Campo di Marte, a due passi dalla Curva Fiesole. È uno dei personaggi del quartiere, amatissimo da tutti. Talmente amato che a Firenze da tanti anni nessuno ha osato cancellare una enorme scritta su un muro: “Dio perdona. Riga no!”.