Circa cinquemila quintali al giorno di telline pescate e rivendute illegalmente solo sul litorale romano. Un mercato nero impressionante, che frutta circa 150 mila euro al giorno ai vari pescatori abusivi. E che comporta da un lato rischi per la salute di chi consuma i militi non trattati adeguatamente, dall’altra un danno economico non indifferente per i pescatori regolari, che si vedono sottratti i clienti. Per non parlare, ovviamente, dell’evasione fiscale.
Affari d’oro per i pescatori abusivi: 150 mila euro al giorno
Ne parliamo con Giovanni Conte, presidente del Consorzio Pesca molluschi e crostacei Roma e provincia.
“Noi, attraverso il consorzio, gestiamo gli orari e i quantitativi del pescato, secondo quelle che sono le normative in vigore. Comunichiamo le uscite delle barche e dei pescatori al Ministero e alla Capitaneria di Porto, con i quali lavoriamo in sinergia. Purtroppo ci siamo resi conto che, dopo il Covid, non ci sono più i dovuti controlli. Questo ha permesso che quelli che erano sporadici pescatori che magari inizialmente pescavano un secchiello di telline diventassero una schiera di persone attrezzate in maniera sempre più professionale – addirittura con rastrelli identici a quelli che utilizziamo noi – che ‘lavorano’ ogni mattina per due o tre ore, raccogliendo diversi chili di molluschi a testa per poi rivenderli sulla spiaggia.
Il totale è appunto di circa cinquemila quintali al giorno. Questi sono i dati che registriamo quotidianamente nel tratto di litorale compreso tra Fregene e Torre Astura”.
Come fate a stabilire che si tratta di una quantità così elevata?
“Contiamo le persone che ogni mattina pescano le telline nel tratto di nostra competenza. Ci sono 6 o 7 persone ogni 300 metri di spiaggia. Calcoli che sono oltre 70 chilometri di costa. E ognuno di loro arriva a farne almeno 30 o 40 chili, per una media di 45.000 chili di telline al giorno”. Se proprio si vuole scendere al ribasso e calcolare i tratti non frequentati che va a decurtare il 30% si hanno comunque cifre impressionanti, abbiamo comunque delle cifre più che consistenti: 31.500 chili di telline, che fruttano – rivendute a 5 euro al chilo – circa 150 mila euro al giorno. E i conti sono presto fatti: in una stagione si raggiunge facilmente un milione di euro, tutti in nero, quindi di evasione fiscale.
“Niente controlli: non interessa a nessuno”
Voi non fate nulla per contrastare questo fenomeno?
“Ormai hanno imparato come eludere i controlli. Arrivano alle 5 del mattino con i rastrelli professionali e in un paio d’ore riescono a riempire anche due secchi. Calcoli che ogni secchio contiene 30 chili di telline. Alle 7 sono già usciti dall’acqua. Ogni volta che proviamo a fermarli chiedendo cosa stanno facendo, ci rispondono: ‘Le regalo a mio zio, a mio cugino, a mia madre…’. Hanno una serie infinita di parenti, a quanto pare, vista la quantità di telline che pescano ogni giorno. Peccato che poi li vediamo poco dopo sulla spiaggia, che le vendono a 5 euro al chilo ai bagnanti che si accalcano attorno a loro.
Ma la cosa peggiore è che se insistiamo a dire che non possono farlo, ci minacciano e provano pure ad alzare le mani. E provare a chiamare le autorità è inutile: non viene nessuno. Lo sanno tutti cosa succede tutti i giorni in spiaggia, ma non importa a nessuno. Eppure avviene sotto ai loro occhi”.
Obbligo di tracciabilità
“Noi abbiamo l’obbligo della tracciabilità del prodotto – spiega Conte – quindi le telline che peschiamo vengono messe in sacchetti che riportano il luogo dove sono state pescate. Ma non solo. Il pescato deve essere portato al centro di raccolta. A seconda delle acque di provenienza, che sono classificate in A, B e C, c’è un percorso diverso. Solo quelle pescate in acque di classe A possono essere vendute direttamente. Se invece si tratta di classe B o C, le telline devono subire dei trattamenti di stabulazione prima di essere consumate, altrimenti sono rischiose per la salute”.
Tutto questo, ovviamente, non viene fatto da chi pesca in modo abusivo.
“Certo che no. Ma il problema grosso è che la legge dice che se qualcuno si sente male dopo aver mangiato un qualsiasi mollusco e va in ospedale, il nosocomio è obbligato ad avvisare il sindaco che, a sua volta, deve interdire alla pesca e alla balneazione il tratto di mare corrispondente, fino a quando non verranno effettuate le analisi che stabiliranno i valori delle acque. Questo arreca un forte danno a noi pescatori ‘regolari’ per colpa degli abusivi, in quanto solitamente questo può accadere dopo aver consumato molluschi di dubbia provenienza. Il fatto che possano essere stati pescati in acque di classe B o C – e quindi non idoneo al consumo diretto senza le procedure di legge per l’elevata presenza del batterio Escherichia Coli – oppure che i molluschi siano rimasti nei secchi per ore in condizioni non corrette (visto che l’acqua in cui vengono conservate supera abbondantemente i 4° previsti dalla filiera del freddo) – è infatti il motivo principale di malore dopo il consumo”.
Classificazione delle acque: Torvaianica classe A, Ostia classe B
“Dalle ultime analisi, effettuate alla fine di giugno (quelle di luglio verranno effettuate nei prossimi giorni, ndr), le acque di Torvaianica risultano essere tutte – sia quelle del centro che delle zone periferiche – in classe A. Ostia, invece, nonostante apparentemente sembri avere l’acqua più pulita, è in classe B. In B è anche tutto il tratto fino a Fregene. Questo perché l’acqua non si misura con la vista. Quello che vediamo, infatti, ci può ingannare: dipende dal tipo di fondale, dalle correnti e dalla conformazione della costa. Ovviamente laddove ci sia mare aperto e fondale sabbioso l’acqua sembra più sporca rispetto ai tratti in cui c’è una curvatura più evidente o ci sono delle protezioni, naturali o artificiali, e il fondale sia diverso”.
“In questi ultimi giorni, con la corrente forte e il mare mosso, è normale vedere il mare ‘sporco’, ma non si tratta di inquinamento. Per assurdo, dalle ultime analisi, i mari più inquinati in questo periodo sembrano essere quelli di Formia, Gaeta e Sperlonga. Non facciamoci poi ingannare dall’effetto ‘scoglio’: fa apparire l’acqua più pulita, ma non è detto che non sia inquinata”.
Ma le telline pescate regolarmente in acque di classe B si possono mangiare?
“Certo, dopo che sono state portate a fare il processo di depurazione. La differenza è che le telline pescate in acque di tipo A hanno una durata di 7 giorni, mentre le altre al massimo 5, perché le seconde vengono ‘pulite’ con una sorta di ‘acqua chimica’ che le depura per eliminare i batteri. Ovviamente il prodotto ne risente e va consumato prima”.
Un mestiere che sta morendo
“Ormai il nostro è un mestiere che sta per scomparire. Noi ‘vecchi’ pescatori non possiamo far avvicinare i giovani al nostro lavoro. Perché con un codice della navigazione che risale al 1942, non vengono considerate tante cose. E la Capitaneria di Porto si trova in difficoltà”.
Cosa intende?
“Chi ha un bar, prende un ragazzo e lo tiene in prova per un periodo. Noi pescatori non possiamo farlo. Sarebbe lavoro nero e rischieremmo da 1.500 a 2.000 euro di multa. Quindi nessun ragazzo si affaccia a questo mestiere. Eppure è un lavoro che, oltre a dare soddisfazione, porta anche guadagni, se ci si impegna. Certo che non si deve e non si può fare i ‘fannulloni’, non è di certo il lavoro giusto. Si fatica. Ma è bello. Io avrei tante cose da insegnare, ma a chi? Vede quella barca grande? È la mia: è ferma. Esco con quella piccola, perché non ho nessuno che viene con me. Per andare con l’altra dovremmo essere in quattro”. “La pesca – conclude Giovanni Conte – potrebbe essere il terzo polo economico dell’Italia. E invece è stata ‘svenduta’ ai tempi dell’entrata in Europa. E noi pescatori ci troviamo spiazzati”.
Torniamo alle telline.
“Noi le vendiamo al cliente finale 10 euro chilo. Oltre al lavoro, vanno calcolate le tasse, il costo dei sacchetti e delle etichette, del viaggio fino ad Anzio al mercato del pesce dove il pescato va tracciato e dove a noi le telline vengono pagate, all’ingrosso, 3 euro al chilo. Per chi pesca in zona B va aggiunto il costo della depurazione. I pescatori abusivi, che non hanno nessuna licenza né costi, vendono a 5 euro al chilo. In nero. Tanto nessuno controlla…”