La storia di Antonella Di Veroli è ferma al 1994. Ventinove anni fa la commercialista romana fu ritrovata morta dentro a un’anta di un armadio sigillata, dopo essere stata soffocata e freddata con due colpi di pistola. A distanza di 29 anni di quell’arma non c’è traccia, non c’è colpevole e nemmeno un movente. L’indagine è stata impantanata per anni ma ora si riapre con una svolta: la Procura di Roma torna così a far luce sui tanti irrisolti di uno dei casi di cronaca nera più famosi di Roma.
Chi è “la donna nell’armadio”?
Antonella Di Veroli era una consulente del lavoro, residente in zona Monte Sacro e trovata morta il 12 aprile 1994 in un armadio. L’anta del mobile era sigillata col mastice e il corpo della donna nascosto da una pila di vestiti, mentre il resto della casa risultava intonso. La macabra scoperta fu fatta allora dalla sorella, Carla, che oggi chiede sia riaperto il caso per poter approfondire alcuni aspetti sull’assassinio. Carla Di Veroli decise di andarla a trovare nella sua abitazione dopo ore che la sorella non dava più sue notizie, accompagnata allora dal marito e dall’ex amante di Antonella, Umberto Nardinocchi, socio della vittima con cui era comunque rimasta in buoni rapporti.
Le indagini: nessuna analisi sul bossolo
Non tornano molte cose in questa storia, ma sembra non ci siano dubbi invece sul fatto che Antonella Di Veroli, la notte in cui fu uccisa, aprì la porta a qualcuno che conosceva molto bene. Molti dettagli sul suo omicidio non sono stati considerati. Per esempio: perché non è mai stata fatta un’analisi scientifica del bossolo della pistola che l’ha uccisa? Se lo sono chiesti per esempio Diletta Riccelli e Flavio M. Tassotti, due giornalisti che, rileggendo le carte dell’intero procedimento giudiziario, hanno insistito perché le indagini prendessero una piega diversa.
Carla Di Veroli si rivolge alla Procura
È lo stesso appello che la sorella di Antonella, Carla Di Veroli, insieme alla deputata del Movimento 5 stelle, Stefania Ascari, hanno rivolto alla Procura di Roma. La notte in cui Antonella è stata uccisa, poi, intorno all’una, dal telefono di casa della consulente è partita una chiamata verso un taxi. Perché nessuno in questi anni ha tentato di rintracciare il taxista che ha raccolto quella chiamata? Da una perizia, poi risulterebbe che il bossolo apparterrebbe a una piccola arma da collezione, data e arrugginita o che nel cuscino, appartenente al letto della donna, sono stati ritrovati dei piccoli frammenti di ferro. Elementi fondamentali per procedere nelle indagini e che ora potrebbero avere un peso diverso.
I sospettati
A distanza di quasi 30 anni, l’assassino di Antonella Di Veroli non ha ancora un volto e un nome. Ma i sospettati ci sono stati, in primis i suoi due ex amanti: Umberto Nardinocchi e Vittorio Biffani, dato che su entrambi fu trovata allora polvere da sparo. Vittorio Biffani, fotografo cinquantenne, al momento dell’omicidio era sposato e interruppe la relazione con Antonella Di Veroli per motivi di gelosia, da parte della moglie di lui. Antonella prestò poi a Biffani 42 milioni di lire. Finito al processo, anche su Biffani trovarono polvere da sparo, ma dalle analisi scientifiche scoprirono che non c’era alcun collegamento con il suo DNA tanto che venne assolto in tutti e tre i gradi di giudizio. Nardinocchi, invece, ha sempre dimostrato un alibi di ferro. Così, dopo 30 anni, il caso della “donna nell’armadio” torna a far discutere, tra ipotesi, piste e sospettati. Ma ancora, dopo 29 anni, senza soluzioni.