Situazioni di “mala scuola” all’interno delle strutture scolastiche italiane, dove una docente è stata licenziata dal MIUR perché assente almeno 20 anni su 24 di servizio all’interno delle classi dove aveva insegnato. Il record di presenze consecutive, secondo i giudici della Corte di Cassazione, sono stati appena quattro mesi, dove la stessa insegnante si era distinta per inadeguatezza.
La docente assenteista scoperta dal MIUR
Nella pratica, non si presentava mai al lavoro. Un danno per la sua scuola, ma anche per quegli alunni a cui doveva dare una preparazione scolastica all’interno di quei licei italiani dov’era attiva. Tutto ciò, avendo tra le mani delle materie umanistiche fondamentali per la cultura generale dei ragazzi, quali Storia, Filosofia e Geografia. Assenteismo quotidiano, che aveva portato anche i dirigenti della sua scuola a chiedere un intervento del MIUR sulla spinosa questione. Condizione chiesta anche dai genitori degli studenti, che evidenziavano come la professoressa fosse “dannosa” quelle poche volte che si presentava in classe.
La docente definita “incompetente” nel proprio ruolo
Ad allontanare la docente dalla scuola, in questa bizzarra storia, non solo le lamentele del suo stesso istituto scolastico o i reclami di famiglie e studenti. Sulla condizione si è esposta anche la Corte di Cassazione, che valutato l’operato dell’insegnante grazie a degli ispettori MIUR, ha potuto constatare con criterio “l’inadeguatezza” e “l’inettitudine” della docente nel proprio lavoro, con esempi provati e incontestabili della dannosità della donna in cattedra.
Le lezioni della docente tra disagi a studenti e la stessa sua scuola
La domanda è lecita: come lavorava l’insegnante quelle poche volte che veniva in aula? La risposta è unanime tra dirigenti scolastici, studenti e le loro famiglie: quella professoressa compiva solo danni. Gravemente impreparata sulle lezioni che spiegava ai ragazzi, non aveva mai appresso i libri di testo durante le ore di didattica, metteva voti a “simpatia” durante le sue interrogazioni. Quest’ultimo, un atteggiamento che ha creato un concreto danno a numerosi studenti che sono passati sotto la sua guida negli ultimi 24 anni.
Le interrogazioni della professoressa assenteista
Le interrogazioni di questa docente, vedendo la sentenza del giudice della Corte di Cassazione, meriterebbero dei ricorsi e delle verifiche solamente per la metodologia in cui venivano effettuate. Quando interrogava un suo alunno, puntualmente era presa a messaggiare sullo smartphone (con Whatsapp, Messanger o gli SMS) oppure impegnata a chiacchierare con qualche altro studente. In un contesto simile, viene difficile immaginare come potesse dare un voto con criterio all’alunno interrogato, visto che delle sue parole, tecnicamente, aveva potuto capire pressoché zero per le numerose “distrazioni”.
La difesa dell’insegnante alle accuse
La docente, presa in “castagna” nei propri metodi dopo tre giorni di osservatori del MIUR alle sue elezioni, ha sempre difeso i suoi “discutibili metodi” con la “libertà nel metodo d’insegnamento”. Scusa però, che almeno a detta dei giudici, risultava inaccettabile come difesa.
Il verdetto della Cassazione sulla docente
Infatti, secondo i giudici della Corte di Cassazione “la liberà di insegnamento in ambito scolastico è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”. Proseguono: “Non è dunque libertà fine a se stessa, ma il suo esercizio – prosegue il verdetto 17897 della Sezione Lavoro – attraverso l’autonomia didattica del singolo insegnante, costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti.
Concludono i giudici: “Il concetto di libertà didattica comprende certo una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento, ma questo non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni“.