Se lo portava dentro le carni da mesi, quel fil di ferro mezzo arrugginito attorcigliato intorno al punto vita, la piccola Velia, una micina di colonia che una mamma gatta aveva portato al sicuro a casa di Claudia, insieme alla sorellina Vilma, qualche tempo fa. Una tortura prolungata di cui lei stessa non si rendeva conto.
“Le tre gatte – tre randagine – all’inizio apparivano piuttosto diffidenti e un po’ selvatiche”, racconta la giovane donna titolare di una colonia felina nei pressi del Parco Papacci a Roma, “venivano da me a dormire e a mangiare, ma non si facevano avvicinare”.
La storia delle tre gattine
Le due piccole – nate durante il lockdown – nella primavera 2020, di Claudia avevano imparato a fidarsi ed erano diventate assidue frequentatrici della sua casa. “Non mi ero accorta di nulla”, dichiara Claudia. La stessa Velia – battezzata con un nome etrusco vista la sua provenienza – appariva un po’ mogia, abbattuta negli ultimi giorni. “Non riuscivamo a capire cosa avesse, anche perché poi riprendeva improvvisamente a giocare e a saltare con gli altri, come se niente fosse”. E invece Velia ha rischiato la morte, la setticemia o il tetano nel migliore dei casi. E solo grazie ad un delicato intervento – eseguito d’urgenza presso una nota clinica veterinaria sulla Cassia – ha avuto salva la vita confermando il luogo comune secondo il quale i felini sopravvivono agli eventi più drammatici, avendo a disposizione sette vite.
La gattina aveva in realtà un fil di ferro che le si era attorcigliato nel tronco, attorno all’addome, che stava rischiando di “strozzarla”. La micia rischiava la vita a ogni movimento: il pericolo era di impigliarsi e lacerarsi, ma anche quello che, crescendo, il fil di ferro si infilasse sempre più nelle sue carni e la uccidesse.
Un’agghiacciante verità
Una storia a lieto fine, quella di Velia, che oggi siamo felici di poter raccontare. Quello che ci è parso raccapricciante e che ci impone un momento di riflessione è piuttosto quella che è risultata essere la causa del suo “infortunio”. Il fil di ferro che ha tagliato la carne viva della povera gattina fin quasi all’osso non era infatti la conseguenza di un gioco crudele del sadico di passaggio, bensì la parte finale del tipico laccio di metallo utilizzato per la cattura dei cinghiali. Qualunque animale – di qualsivoglia forma e dimensioni – può rimanere vittima di queste trappole disseminate ovunque anche nel Parco Papacci, in via di Grottarossa. Un barbaro sistema di cattura, utilizzato per lo più dai bracconieri, che provoca all’animale atroci sofferenze, fino alla morte.
Stiamo parlando di un parco pubblico frequentato dagli anziani e dai bambini del quartiere, le mamme con i piccoli in carrozzina, i cani con i loro padroni. Un parco dove oggi a minacciare l’incolumità e la tranquillità di tutti, umani e animali – insieme alle trappole mortali sono arrivati gli spari e il far west urbano alla luce del giorno. Perché oggi il bracconaggio, pare, non sia più un reato. Come non lo è esplodere colpi di arma da fuoco di fronte allo sguardo irretito dei bambini. Oggi, 5 giugno 2023, mentre si celebra a Roma la Giornata Nazionale dei Diritti degli Animali.
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