Beni per oltre 3 milioni di euro quelli confiscati questa mattina dagli agenti della Polizia di Stato della Divisione Anticrimine della Questura di Roma, che hanno dato esecuzione al decreto emesso, ai sensi della normativa antimafia, dal Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione. Beni che appartengono a 2 uomini, uno calabrese e uno romano, inseriti in pericolosissimi contesti di criminalità organizzata di matrice ‘ndranghetista, operanti nel mandamento tirrenico. E facenti capo a una nota famiglia di Gioia Tauro.
Questa mattina l’operazione è stata portata avanti dagli uomini della Divisione Anticrimine della Questura di Roma e dal personale di 7 Commissariati di P.S sul territorio di Roma e provincia. Importante, però, anche la collaborazione della Divisione Anticrimine della Questura di Reggio Calabria e del Commissariato di P.S. di Gioia Tauro.
L’operazione Ragnatela della Polizia, le indagini partite tre anni fa
L’attività di oggi, definita “Operazione “Ragnatela”, costituisce il risultato della costante e incisiva azione di contrasto alla criminalità organizzata. Perché l’obiettivo resta uno: recuperare quei patrimoni accumulati in maniera illecita e losca. Le indagini sono state avviate tre anni fa e hanno permesso di ricostruire il ‘curriculum’ criminale dei due uomini. Tra bancarotta fraudolenta, intestazioni fittizie, prestanomi, usura e riciclaggio.
Chi sono i boss, un calabrese e un romano, guadagnavano con usura e riciclaggio
Il primo, il calabrese, è l’esponente di una nota cosca di Oppido Mamertina, nonché consuocero del boss R.M., assassinato l’1.02.2008: lui si era trasferito nella zona dei Castelli Romani e aveva investito notevoli capitali, derivanti da reati di bancarotta fraudolenta e seriali intestazioni fittizie di beni con finalità elusive e agevolative, in un complesso immobiliare adibito ad albergo-ristorante rilevato dal pregiudicato romano. L’altro uomo, il pregiudicato romano, è un noto usuraio che fin dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso è stato associato a personaggi, oggi morti, D.S. e L.M. – commercialista del cassiere di “Cosa Nostra”, P.C. e a appartenenti alla “Banda della Magliana” e alla “Camorra”. Ed è proprio lui che metteva insieme e gestiva i proventi della criminalità mafiosa per fini di riciclaggio, realizzando ingenti investimenti anche attraverso il ricorso a una schiera di prestanome.
I beni confiscati
La misura di prevenzione patrimoniale, non ancora definitiva, che è stata attuata questa mattina fa capire come ci sia una sproporzione tra fonti di reddito lecite, attività economiche esercitate e complesso patrimoniale posseduto direttamente o indirettamente dai due uomini. Questa mattina, infatti, sono stati confiscati beni per oltre 3 milioni di euro: un compendio, tra l’altro, già sottoposto a sequestro di prevenzione ai sensi del codice antimafia nel marzo 2022.
Tra i beni confiscati la totalità delle partecipazioni di una società di capitali con sede a Roma, attiva nel settore immobiliare; un complesso immobiliare di Roma, costituito da locali commerciali di estesa superficie; immobili per civile abitazione di Gioia Tauro (RC); una polizza assicurativa del valore di € 150.000, disponibilità finanziarie per oltre quattrocentomila euro, un complesso immobiliare già adibito ad albergo – ristorante, che si trova a Rocca di Papa (RM), per il quale la Protezione Civile ha manifestato interesse all’assegnazione per la realizzazione di un presidio operativo. Rientrano, infine, tra i beni in confisca, anche due zanne di avorio elefantino di cospicuo valore economico.