Si schianterà sulla Terra nelle prossime ore il satellite RHESSI – Reuven Ramaty High Energy Solar Spectroscopic Imager – della Nasa che dal 2002 al 2008 ha studiato il Sole, offrendoci preziose informazioni sui brillamenti solari. Dal peso di 300 kg, 660 libbre, il satellite dovrebbe bruciare quasi completamente durante il viaggio nell’atmosfera, anche se la Nasa prevede che “alcune componenti sopravvivranno al rientro”. Inoltre, stando alle ultime stime del Dipartimento della Difesa americano, il satellite dovrebbe rientrare nell’atmosfera terrestre intorno alle 21.30 EDT di oggi, mercoledì 19 aprile, le 3:30 del 20 aprile in Italia.
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Il satellite Nasa in caduta libera sulla Terra
Il satellite Rhessi della Nasa, lanciato nell’orbita terrestre nel febbraio del 2002 è il veicolo spaziale che ha studiato i brillamenti solari e le espulsioni di massa coronale usando uno spettrometro per immagini che ha registrano sia i raggi X sia i raggi gamma. La sua dimissione è avvenuta nel 2018 a seguito di problemi di comunicazione Rhessi ed ora, il rientro – quasi 21 anni dopo il lancio e 16 di attività – è tenuto sotto controllo sia della Nasa sia dal dipartimento della Difesa Americano che in queste ore stanno aggiornando le previsioni su quando il satellite entrerà in contatto con l’atmosfera terrestre.
L’ingresso nell’atmosfera terrestre
Stando alle indicazioni della Nasa, l’ingresso nell’atmosfera terrestre del satellite è previsto intorno alle 21:30 EDT di oggi, mercoledì 19 aprile, ovvero le 3:30 del mattino di domani, giovedì 20 aprile in Italia. Non specificata invece la zona del possibile impatto delle componenti che sopravvivranno al rientro. Tuttavia, non è da scartare la possibilità che dopo il rientro l’agenzia possa fornire indicazioni più precise. Ora, anche se il satellite Rhessi non è certamente il primo satellite spaziale in caduta incontrollata sulla Terra, la circostanza mette in evidenza come l’orbita terrestre sia un luogo sia un luogo sempre più “affollato”. Una testimonianza a riguardo è fornita anche dal fatto che sono oltre 13.000 i pezzi di detriti orbitali attualmente monitorati dalla reti di sorveglianza globale, senza poi tener conto di quelli troppo piccoli per poter essere monitorati.
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