È un racconto da brividi, quello che Paolo (nome di fantasia) fa al giudice nell’aula del Tribunale tribunale di Roma. La sua voce la sente anche Antonio C., l’imputato, che non può però vederlo in faccia. I due sono separati da un paravento, per impedire che l’aguzzino possa in qualche modo condizionare, con lo sguardo, le parole della sua vittima.
Antonio, come racconta il Messaggero, è accusato di aver brutalmente stuprato e massacrato di botte il suo compagno di cella, nel carcere di Rebibbia. Botte talmente forti da procurare in Paolo dei danni permanenti. E, oltre a quelli fisici, danni psicologici, da cui Paolo non riesce a riprendersi. Tutto è iniziato quando la vittima era andata a fare la doccia. Un’occasione ghiotta per il suo carnefice. “Mi ha braccato da dietro – racconta – scaraventato prima contro il muro e poi per terra”. Lo ha fatto con una tale violenza che Paolo è svenuto. “Mi sono svegliato pieno di sangue“.
Il racconto della vittima
La storia risale al 24 agosto del 2018. Ma la vittima non denuncia subito. “Mi sono vergognato. Ho avuto paura che, se avessi denunciato, sarei diventato lo zimbello di tutti. E ho avuto paura che mi avrebbero ucciso, se avessi fatto la spia. Certe cose non si possono fare”. Ma alla fine Paolo è costretto a parlare. Tutto parte quando sia lui che Antonio sono detenuti nella stessa cella a Rebibbia. Paolo deve scontare una condanna per rapina. Antonio invece ha un “curriculum” molto più lungo. I reati per cui è in carcere sono diversi: oltre a rapine, ci sono dei conflitti a fuoco e persino un omicidio. Insomma, non è un tipo molto tranquillo e lo dimostra il fatto che sia stato messo nella stessa cella con Paolo dopo aver aggredito un altro detenuto, sempre a Rebibbia.
Sapendo che Antonio è una persona da cui stare alla larga, Paolo cerca di limitare al massimo i contatti. E inizialmente la tattica funziona. L’unico contrasto nasce quando Paolo gli fa notare che preparare la grappa in cella può essere una cosa “stupida”, in quanto sarebbe stato molto facile essere scoperti. “Da quel momento in poi”, racconta la vittima, “ce l’ha avuta con me. Quando lo hanno scoperto, infatti, ha pensato che fossi stato io a fare la spia. Mi ha stuprato qualche giorno dopo”.
La violenza sessuale
Paolo racconta quindi al giudice della sera in cui è stato violentato, subito dopo essersi fatto la doccia. “Erano da poco passate le 21, mi ha braccato da dietro, mi ha scaraventato prima contro il muro e poi a terra. Per il dolore e il terrore sono svenuto. Quando mi sono risvegliato ero pieno di sangue”. Nessuno ha assistito alla violenza, perché le docce sono nella cella. Per catturare Paolo, Antonio ha usato il telo che chiude le docce. “Mi ha preso con quello”, racconta.
“Quando mi sono svegliato, ho cercato di raccogliere tutte le mie forze per aprire l’acqua fredda e bagnarmi, per recuperare un po’ di lucidità. E poi perché mi sentivo sporco, volevo lavarmi. La doccia era ancora aperta. Ho suonato subito il campanello di allarme, ma nessuno è arrivato. Succede spesso così, che suoni e non viene nessuno. Allora ho pulito tutto e ho conservato la carta sporca tra i miei vestiti e mi sono messo a letto con indosso l’accappatoio. Credo di essere svenuto di nuovo a causa dei dolori, ero pieno di lividi”. Il giorno dopo Paolo si fa dare degli antidolorifici dal vicino di cella. La paura di denunciare è troppo alta.
Massacrato di botte
Ma non finisce qui. tre giorni dopo la violenza sessuale, il 27 agosto, dall’armadietto di Paolo spariscono degli oggetti, che ritrova in quello di Antonio. Ma è Antonio ad affermare agli ispettori del carcere di essere stato derubato, cercando di far passare Paolo per ladro. Paolo cerca un chiarimento, che però Antonio non vuole dargli. La sera stessa, per mettere in chiaro chi comanda, Antonio si presenta con un pugnale, stavolta davanti a tutti. “Voleva colpirmi alle spalle”, racconta Paolo, “è stato fermato dagli altri detenuti che lo hanno disarmato”. Ma questo non ha impedito ad Antonio di fare del male a Paolo. In preda a una furia cieca, è infatti tornato poco dopo con una grossa caffettiera in mano, avvolta in una maglia elastica. “Con quella ha iniziato a colpirmi ovunque“, ricorda Paolo. Sono stati colpiti anche gli altri detenuti, che hanno provato a difendermi. Mi hanno dovuto portare in infermeria a causa delle profonde ferite, non capivo più niente dal dolore”.
A seguito di questa ennesima violenza brutale, Paolo viene trasferito da Rebibbia al carcere di Velletri. È lì che prende la decisone di farsi visitare da un medico e di denunciare tutto l’accaduto. Ha conservato la carta sporca di sangue del giorno della violenza sessuale, può dimostrare quanto accaduto. La visita medica conferma danni fisici permanenti all’udito, oltre a lesioni alla colonna vertebrale e alla cervicale. Senza contare i danni psicologici frutto delle violenze subite. Adesso Antonio, recidivo nelle aggressioni ai suoi compagni di cella, finalmente è sotto processo. Ma si dichiara innocente. “Ho fatto tanti reati, ma neanche una violenza”, ha detto al giudice. Ma lo sguardo e le parole di Paolo raccontano un’altra storia.