Il sindaco aveva detto che l’avrebbe ricevuta in Campidoglio dopo aver denunciato omissioni di vigili che hanno coperto abusi dei vicini in rapporti con il clan Spada. Quando Lucia Salvati, ex preside di 75 anni, non ha avuto riscontri gli ha scritto una lettera per tentare di squarciare il silenzio. Rimasta senza risposta ora ha deciso di renderla pubblica.
Non si placa la strenua battaglia di Lucia Salvati, l’ex preside 75enne, per ottenere l’accertamento della verità e l’agognata giustizia circa l’ormai nota vicenda che la vede coinvolta, suo malgrado, da oltre 10 anni. L’anziana signora, residente nel X Municipio, all’Infernetto, dopo aver presentato numerose denunce rimaste inevase, aveva manifestato più volte incatenata, segnalando omissioni e vessazioni da parte di alcuni rappresentanti istituzionali, in particolare di alcuni vigili urbani e dipendenti dell’Ufficio Tecnico di Ostia, finalizzate a dissimulare alcuni abusi edilizi realizzati dai vicini a suo detrimento. Questi, per indurla a desistere, dopo i tentativi intimidatori “istituzionali”, (era stata addirittura incriminata per abusi edilizi inesistenti e assolta con formula piena) non avevano avuto alcuna remora nel presentarsi a minacciarla e aggredirla sotto casa, insieme ai suoi due figli, con un esponente di spicco di un noto clan mafioso del Litorale, il cui profilo criminale è stato tracciato esaustivamente dalle note inchieste giudiziarie che hanno travolto Ostia (ancora prima dell’esplosione di Mafia Capitale), in seguito alle quali è stato raggiunto da un provvedimento di arresto insieme all’ex dirigente dell’Ufficio Tecnico Aldo Papalini.
La Salvati si era presentata in catene a più riprese presso sedi istituzionali e redazioni di organi di stampa, tra cui l’Ufficio del Giudice di Pace di Ostia, la sede dell’Ansa e la Procura della Repubblica di piazzale Clodio, dove aveva chiesto di parlare col procuratore capo Giuseppe Pignatone, e in sua assenza aveva riferito le asserite presunte notizie di reato in suo possesso a due appartenenti alla Polizia Giudiziaria.
Un’altra eclatante azione dimostrativa la preside l’aveva inscenata due anni fa nella sala consiliare del Municipio di Ostia, alla presenza del sindaco Ignazio Marino appena insediato, proprio in occasione dell’appuntamento assembleare straordinario fissato all’indomani della vicenda giudiziaria che aveva scoperchiato le nefandezze mafiose e fatto emergere in tutta la sua drammaticità l’emergenza criminalità sul litorale. Dopo 42 anni di onorato lavoro l’ex dirigente scolastica non riusciva proprio ad accettare che in uno stabile di via Peio, all’Infernetto, ci fossero state coperture e successive vessazioni istituzionali proprio per garantire tali coperture, che l’avevano trascinata in un vortice infernale, insieme ai suoi due figli, sfiancandola fisicamente ed economicamente. Per di più i suoi vicini, che lamentava avessero goduto della protezione omissiva delle istituzioni, erano proprio in rapporti con un noto esponente di quella mafia di cui si dibatteva in quella sede municipale, e tutti avevano fino ad allora ignorato ogni sua denuncia in merito. La donna quella mattina aveva deciso di gridare a tutti quanto accaduto, ma ad ascoltarla furono per lo più i tanti cittadini presenti e i giornalisti. Il sindaco Marino la notò e fece anche una battuta sulle catene, ma non si fermò e scappò via per impegni, il presidente Andrea Tassone, arrestato successivamente all’arrivo del ciclone Mafia Capitale, non disse nulla. Ad avvicinarsi fu solo l’allora assessora Emanuela Droghei, che disse che l’avrebbero fatta parlare col sindaco. Chiese che le chiamassero “la Decina” e poi, rivolgendosi a Maria Luisa Di Bacco, capo della segreteria politica del presidente Tassone: “Luisa, dov’è Silvia Decina?”. Questa rispose che era andata via col sindaco. Silvia Decina, divenuta poi nota alle cronache anche per un’intercettazione telefonica agli atti dell’inchiesta Mafia Capitale in cui parla con Salvatore Buzzi, era il capo della segreteria di Marino. Nella stanza in cui era stata accompagnata, assediata dai giornalisti e confortata dalla Droghei e dalla Di Bacco, l’anziana donna, scoppiata in lacrime, restò diversi minuti, con l’illusione di incontrare il sindaco che stavano cercando di rintracciare per farlo ritornare a parlare con lei, secondo quanto affermato dalle parole della Di Bacco. Da lì a breve la Droghei le riferì che aveva chiamato il sindaco e che l’avrebbe ricevuta in Campidoglio, invitandola a seguire lei e la Di Bacco “nella stanza di Luisa, perché il sindaco la riceverà in Campidoglio, però ci dobbiamo accordare così noi l’accompagniamo”.
L’impegno assunto dal sindaco Marino con la Salvati tramite l’assessora Droghei e la responsabile della segreteria politica del minisindaco Tassone fu clamorosamente disatteso. Non solo questa non ricevette alcuna chiamata dal Campidoglio o dal Municipio di Ostia, ma anche quando cercò di contattare la segreteria politica di Tassone, con cui avrebbe dovuto accordarsi per essere accompagnata, le promesse si sciolsero come neve al sole.
Ma la preside non si perse d’animo, decisa a proseguire nella battaglia intrapresa per ottenere giustizia e mettere a fuoco quella verità di nefandezze istituzionali, che si cela dietro le mura di un immobile di via Peio e tra le pieghe di un paradossale divenire fenomenico che, grazie a esternazioni comportamentali a vari livelli, artatamente preordinate, ha addirittura trasformato i trasgressori in vittime.
Attesi invano alcuni mesi, la donna decise di ritornare alle catene. La prima protesta si concretizzò presso il Comando Generale della Polizia Locale di Roma Capitale e successivamente in piazza del Campidoglio, dove fu ricevuta dal dott. Roberto Toppoli, responsabile dell’Ufficio del Sindaco per i Rapporti con i Cittadini. Questi prese a cuore la questione e interessò l’avvocato generale dott. Rodolfo Murra, che attivò alacremente una fitta corrispondenza con gli uffici interessati, che però condusse a un nulla di fatto. La preside decise quindi di scrivere nuovamente al Sindaco, ma la lettera non ebbe mai risposta. A questo punto, determinata a far emergere la lunga storia di ingiustizia perpetrata ai suoi danni, pur se fiaccata moralmente, fisicamente ed economicamente, e finora soccombente nonostante lo strenuo e autorevole patrocinio legale del numero uno dei penalisti d’Italia, l’avvocato Nino Marazzita, ha deciso di rendere pubblica la missiva a Marino.
La “lotta per la verità” pertanto continuerà senza sosta per la Salvati, che è la madre del giornalista Antonello De Pierro, presidente del movimento politico Italia dei Diritti, il quale finora aveva preferito non occuparsi pubblicamente della faccenda.
Questo è quanto dichiarato dalla Salvati per spiegare la decisione di pubblicare la lettera a Ignazio Marino: “Decido di pubblicare la lettera accorata scritta al sindaco Marino, rimasta senza risposta. Chiedevo solo di aiutarmi a cercare la verità in una situazione che da semplice richiesta di riconoscimento di un diritto si era trasformata, con la complicità delle istituzioni, in un incubo per noi.
Avevo parlato di probabili abusi, sicura che le istituzioni avrebbero accertato. Al sindaco avevo chiesto solamente che nominasse una commissione al di sopra delle parti per accertare la verità. Della lettera protocollata il 25 novembre 2014 non ho saputo più nulla.
Periodicamente ho telefonato alla segreteria e le risposte sono palesemente contrastanti:
1)”Abbiamo mandato tutto al comandante dei vigili” (ma è stato il Comando dei vigili a dirottarmi verso il Campidoglio).
2)“Abbiamo mandato tutto in Procura” (tutto cosa?).
3)“Abbiamo mandato tutto all’Avvocatura” (ma l’Avvocatura aveva già fatto tutto quello che era nelle sue competenze, ora toccava al sindaco, o a chi per lui, nominare una commissione che stabilisse la verità).
La mia tristezza è che ho dovuto prendere atto che in questa società il cittadino comune conta veramente poco.
In 42 anni di scrupoloso lavoro, prima come insegnante, poi come dirigente scolastico, ho cercato di trasmettere valori a intere generazioni, conservando fino all’ultimo l’entusiasmo del primo giorno di scuola. Ora, a 75 anni, devo constatare, con dolore, che le mie denunce lasciano nell’indifferenza le istituzioni.
Chiedo che sia fatta giustizia a tutti i costi. Non lo chiedo solo per me, ma anche, e soprattutto, per i giovani, che hanno diritto a credere in una società più giusta e hanno bisogno di speranza”.