Continua il nostro viaggio alla scoperta delle storie delle vittime di usura a Pomezia. Dopo la vicenda di Roberta, la dipendente che, stretta nella morsa di un usuraio è arrivata vicino al suicidio, vi raccontiamo adesso quella di Paolo, finito anche lui nella rete degli strozzini. L’uomo, fino a quando gli affari fanno relativamente bene, sembra non accorgersi del precipizio in cui è caduto. Solo in seguito capisce di non avere più vie d’uscita.
La testimonianza
Paolo (nome di fantasia) è un commerciante di Pomezia nel settore alimentare. Lui, come Roberta, è una delle vittime di Raffaele Tranchino, una delle persone arrestate proprio per usura a Pomezia. Le storie hanno un medesimo elemento in comune di partenza: Tranchino viene visto come un benefattore, colui che ti aiuta quando tutti ti voltano le spalle. Al punto che, pur ammettendo di aver ricevuto dei prestiti, non dichiara di aver pagato gli interessi. Solo in seguito si scopre che, su 100.000 euro che gli sono stati dati, ne ha restituiti una cifra molto maggiore, non ben quantificata, più una villa in Sardegna dal valore di 500 mila euro. A causa di problemi con gli affari del negozio, Paolo chiede più volte dei prestiti a Raffaele.
La villa al posto dei soldi
E restituisce il denaro pagando 50 euro al giorno, dal lunedì al venerdì, presi direttamente dalla cassa del negozio. Soldi che non vengono tracciati da Paolo, che non si rende così conto di quanto effettivamente restituisce a Tranchino. Ma Paolo ha debiti anche con un’altra persona, che si mette d’accordo direttamente con Tranchino per il saldo. E Tranchino fa tutto un conto, fino a un totale di 100 mila euro. Gli intessi da pagare oscillano dai 4 ai 6 mila euro al mese. Tranchino continua a prendersi i 250 euro a settimana fino al periodo della pandemia. Poi gli affari crollano e Paolo non ce la fa a reggere quei ritmi. Raffaele non si fa scoraggiare dal virus e chiede qualcos’altro in cambio: la villa in Sardegna. Fino a quel momento sono stati restituiti almeno 30 mila euro. Tranchino decide di valutare la villa 200.000 mila euro e di rogitare per quella cifra. Viene quindi scalato il debito, oltre ai 60 mila euro rimasti dell’ipoteca sull’immobile.
«Pagavo 50 euro al giorno, 100 se saltavo un pagamento»
I 70 mila euro rimasti, però, sarebbero dovuti essere versati – almeno quelli – a Paolo, che deve dividere i soldi della vendita della villa con le sue sorelle. E invece, trattandosi di una finta vendita, Tranchino gli dà in mano degli assegni circolari, dicendogli che, in cambio, vuole indietro i soldi incassati. “E così ho fatto, dando il contante un po’ per volta, infatti ho continuato a pagare ogni giorno 50 euro circa. Se non avessi ottemperato un giorno, il successivo avrei dovuto pagare 100 euro. Voglio precisare che prima possedevo varie proprietà, adesso vivo con mio figlio e non ho più una mia abitazione“, ammette ai carabinieri nella sua testimonianza.
Indagini sull’usura, in vista un nuovo “terremoto giudiziario” a Pomezia?