Teneva i suoi due figli segregati in casa a Capannelle, Roma. Tapparelle abbassate, finestre chiuse, muffa sulle pareti, maltrattamenti: un incubo quello vissuto da due bambini. Sembrava che non ci fosse nessuno in casa, ma le urla che provenivano dall’interno i vicini le sentivano ogni giorno. In casa viveva una coppia, marito e moglie, con due figli. Il 53enne J. S. ora è imputato davanti al tribunale di Roma per maltrattamenti in famiglia.
Teneva i figli segregati in casa, tra muffa e sporcizia
Dalla casa provenivano urla ogni giorno, i vicini le sentivano ed erano preoccupati ma non potevano sapere cosa stava succedendo all’interno. Muffa alle pareti, docce che non funzionavano, finestre chiuse, a terra scatole e buste ovunque: decideva tutto il “capofamiglia”, che segregava i figli e la moglie in casa.
Dormivano nella stanza dei genitori, non potevano giocare con gli amici, niente sport né feste o camposcuola. Il 53 enne J. S. – secondo quanto ha ricostruito la moglie davanti alla prima sezione collegiale del Tribunale di Roma – avrebbe anche preso i figli a cinghiate.
“Voglio ammazzare mio padre”: i bambini chiedono aiuto agli zii
La moglie aveva sporto denuncia ai carabinieri nel 2020, quando i bambini hanno chiesto aiuto agli zii. “Uno dei miei nipoti ha detto a mia sorella: ti prego, portami via da qui, voglio una vita normale – ha riferito lo zio dei due minori, come riporta Il Messaggero – Papà non mi vuole bene, voglio diventare grande e pagare il riscatto per mio fratello. Voglio ammazzare mio padre. Lui li teneva prigionieri e la moglie (sua moglie) era sua succube, prigioniera dell’amore che provava per lui”.
Ad accorgersi della strana situazione sono stati i vicini di casa: “I figli di un mio amico andavano a scuola con i due fratellini e una sera mi ha detto che il più piccolo non andava mai a nessuna gita scolastica e che non giocava con gli amici”.
Una vita di privazioni, poi l’aggressione fisica: ha preso i bambini a cinghiate
Non potevano fare nulla i due bambini: non potevano parlare con nessuno a scuola, neanche a ricreazione, dovevano stare vicino alle maestre e studiare. Giocavano solo tra di loro, facevano a botte: “Sono stati educati a risolvere i problemi picchiandosi”, ha spiegato lo zio.
Toni pesanti, parole offensive, come “encefalitico”, “non capisci un c***o”, secondo quanto riferito ai giudici dalla mamma dei minori. La violenza verbale è sfociata poi in aggressioni fisiche: “Stavo lavando i piatti e ho sentito delle urla dalla stanza da letto e quando sono andata a vedere ho trovato mio marito che stava con il braccio sul collo di mio figlio piccolo. Il più grande ha cercato di difendere il fratello, ma il padre gli ha detto: Rimani lì se non vuoi finire in ospedale. Io non riuscivo ad agire, ero bloccata in quella situazione”, ha detto la mamma.
“Ero un padre e mi hanno sparato in faccia tutti, esigo che venga tolto il mio cognome a quei ragazzi, mi hanno strappato il cuore”, ha detto il 53enne.
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