“Ringrazia che non ti incaprettiamo e non ti buttiamo per terra”. Una frase choc, che ancora si sogna la notte e lo fa svegliare di colpo, in preda al terrore. Mario (nome di fantasia, ndr), ancora non riesce a superare quanto accaduto all’interno di uno dei più grandi Commissariati di Roma, nonostante siano passati 12 giorni. Era entrato per presentare una denuncia di smarrimento del bancomat, ma sarebbe stato trattato come il peggiore dei delinquenti: trattenuto a forza per oltre due ore, strattonato, insultato, privato del cellulare e degli effetti personali. Nessuna possibilità di contatto con i familiari o con un avvocato. “Frocio di merda”, questo uno degli insulti che gli sarebbero stati rivolti dagli agenti.
Erano in cinque, ma uno in particolare si sarebbe accanito contro Mario, urlandogli a pochi centimetri dalla faccia. Lui, nonostante abbia 38 anni e pelo sullo stomaco, è scoppiato a piangere come un bambino. “Ho avuto paura di fare la fine di Stefano Cucchi. In quel momento non ho capito più nulla. Soffro di depressione, attacchi di panico e ansia. E gliel’ho detto, che potevo sentirmi male e svenire da un momento all’altro”, ci racconta. E, nel ricordare quei momenti, la sua voce trema. E gli scorre una lacrima sul viso. L’emozione è troppo forte, sta rivivendo ogni attimo di quelle terribili due ore.
La denuncia
Tutto ha inizio il 4 ottobre, alle 18:30. Mario perde la sua carta di debito. Non ha con sé soldi contanti e deve fare la spesa, perché in casa il frigo è vuoto. “Ho pensato quindi di andare al Commissariato più vicino al posto in cui mi trovavo, invece di recarmi a quello della mia zona, per fare prima. Ma quando ho dato i documenti per formalizzare la denuncia di smarrimento gli agenti in servizio mi hanno risposto che il sistema si bloccava a causa di una notifica che dovevano farmi“. La notifica in questione era nota a Mario, riguardava un atto del 2017. Il ragazzo li informa di sapere della notifica, in quanto l’ha già ricevuta più di una volta.
“Ho anche detto al poliziotto che avevo necessità di fare la denuncia in tempi brevi, perché non avendo denaro contanti a disposizione e con gli uffici postali che chiudevano alle 19:00, mi sarei trovato in seria difficoltà se non mi fossi sbrigato: rischiavo di non avere i soldi per mangiare”. Non ottenendo riscontro dall’agente, Mario gli dice che avrebbe provveduto a presentare la denuncia presso la caserma dei Carabinieri del suo quartiere, perché lì aveva già appurato che il problema della notifica non sussisteva: evidentemente era un gap del sistema, visto che lui l’aveva già ricevuta. “Ma, al momento in cui ho manifestato la mia intenzione di andarmene, sono stato afferrato per le braccia da uno degli agenti che, insieme ad altri presenti nella stanza, mi ha obbligato a sedermi contro la mia volontà, trattenendomi per due ore in Commissariato”.
Due ore da incubo
Mario a questo punto sarebbe stato privato del cellulare e dei suoi effetti personali. “Posso sapere quale sia il mio stato giuridico?”, chiede spaventato, “Sono in stato di fermo, di arresto o cosa? Si può sapere se ho fatto qualcosa e cosa? Perché mi state trattenendo contro la mia volontà? Posso chiamare il mio avvocato?”: tutte domande che restano senza risposta. Anzi, sentendo le domande, uno degli agenti avrebbe iniziato a rivolgersi a Mario in tono minaccioso, insultandolo davanti ai colleghi, che lo avrebbero spalleggiato ridendo.
“Ha iniziato a dirmi di tutto. Ero terrorizzato. Quando gli ho chiesto di smetterla, mi ha risposto ‘Ringrazia che non ti incaprettiamo e ti buttiamo per terra. Devi avere rispetto per le istituzioni“. Ma tu hai risposto in qualche modo? Hai mancato di rispetto? “Assolutamente no. Avevo talmente tanta paura che non mi sono permesso di usare nessun tono o parola offensiva. Non ho, tantomeno, rivolto minacce o tentato alcuna forma di violenza o resistenza nei confronti di alcuna persona presente all’interno del Commissariato. Ero totalmente inerme. E molto intimorito da un atteggiamento che appariva palesemente intimidatorio nei miei confronti. Ragion per cui mai avrei potuto reagire con veemenza”.
“Nessuno ti crederà, siamo tutti testimoni”
Il poliziotto più “esagitato”, nonostante Mario lo implori di smettere, avrebbe continuato a urlare a pochi centimetri dalla faccia di Mario. Che inizia a sentirsi male. “Lei mi sta molestando, così mi sento male”, dice all’agente. “Sono in cura al Cim, se continua così potrei avere un mancamento”. Mario piange, chiede disperatamente che la smettano. “Il suo atteggiamento – prosegue – è una molestia: mi sta bullizzando e facendo violenza, voglio chiamare il mio avvocato”.
“Ah sì? – avrebbe risposto l’agente – allora ti denuncio per calunnia. Qui sono tutti testimoni: nessuno crederà a quello che dici“.
“Tu devi solo guardare per terra”
“Appena esco di qua vado in ospedale e mi faccio refertare, poi vi denuncio”, avverte Mario, “anche perché ancora non mi avete detto il motivo per cui mi state trattenendo da due ore”.
Il poliziotto lo avrebbe continuato a schernire, rispondendogli: “Tu devi solo guardare per terra. Sei venuto a farci una lectio magistrali su come ci dobbiamo comportare, con quella voce da frocio? Stai minacciando un pubblico ufficiale, quindi adesso ti denunciamo”. Quali sarebbero state le minacce? “Io non ho minacciato nessuno. L’unica cosa che ho detto – e che sto facendo – è stata quella di informarli che, appena uscito dal Commissariato, sarei andato in ospedale per farmi refertare perché mi stavano facendo del male e che, successivamente, se ci fossero stati gli estremi li avrei denunciati per quel trattamento”.
“Ora ti indago per bene: quello che stiamo facendo è normalissimo”
Cosa ti hanno risposto? “Queste le sue parole testuali: ‘Ah, sì? Queste sono minacce. Ora ti indago per bene’. In sostanza, durante le due ore in cui sono stato trattenuto, ho subito reiterati insulti, umiliazioni, persino derisioni, anche a fronte dell’evidente sofferenza psicologica che tali condotte suscitavano in me, che esprimevo piangendo e tremando”.
Cosa facevano gli altri colleghi presenti? “Quando mi consentivano di parlare, venivo interrotto dal poliziotto che sembrava il capo, con frasi del tipo: ‘Ti sto molestando e torturando? Tu hai le manie di persecuzione. Quello che stiamo facendo è normalissimo’. I suoi colleghi ridevano.
Denunciato per minacce
“Mentre ero sempre più terrorizzato, uno dei poliziotti mi ha detto: ‘Voglio vedere che denuncia ci fai. Tutta montata ad arte, eh?’ Che non mi avrebbe creduto nessuno. Che erano 5 contro 1. Ma questa cosa la devono sapere tutti. Io non dormo più, da quel giorno, ho gli incubi ogni notte. Ho paura. E non è giusto aver paura della polizia per colpa di alcuni individui che non sono degni di indossare la divisa. Perché non voglio perdere la fiducia nelle istituzioni, per questo chiedo giustizia. Invece mi ritrovo ad essere stato denunciato io”.
Mario, anche se non replica mai nelle due ore passate in Commissariato, viene infatti denunciato per minacce a pubblico ufficiale. “Non ho mai profferito alcuna minaccia – assicura – essendomi unicamente limitato a sporgere una querela perché ritengo di aver ricevuto umiliazioni, trattamenti, ingiusti, vessatori e discriminatori. Per concludere, mi è stata ‘consegnata’ la denuncia che era stata fatta nei miei confronti sbattendomela letteralmente in faccia. In pratica l’hanno usata per schiaffeggiami con quelle carte, ultima umiliazione prima di consentirmi di uscire dalla Questura, alle 20:30 passate”.
Il pronto soccorso
Mario, sconvolto, si reca direttamente al pronto soccorso. Nel frattempo chiama il suo avvocato, al quale racconta tutto. I medici lo visitano, è in preda a un attacco di forte ansia. Gli danno dei calmanti e tre giorni di riposo assoluto. Ma, a distanza di alcuni giorni, ancora non riesce a uscire di casa. Solo dopo 5 giorni, accompagnato, riesce a farlo, per andare dai carabinieri, dove presenta la denuncia.
“So che potrebbe sembrare assurdo, ma ho vissuto attimi di vero terrore. Io mi fidavo. Sono entrato in quel Commissariato con tutta la tranquillità del mondo, come un qualunque cittadino. Mi sono visto trattare come un criminale. Ma neanche un criminale deve essere trattato così. Non mi è stato detto il motivo per cui venivo trattenuto, perché sono stato insultato, offeso, denigrato. E perché non mi è stato consentito di chiamare nessuno, nemmeno il mio avvocato. In quel momento mi sono sentito perso, in balia di qualcuno che avrebbe potuto fare di me qualunque cosa. Per fortuna c’era chi sapeva che sarei andato lì. Almeno 3 persone in quelle due ore mi hanno telefonato e non hanno ricevuto risposta. In caso di processo sono disposte a testimoniare. Perché voglio che la verità venga a galla. Non che mi si dica ‘Tanto non ti crederà nessuno’. Voglio poter credere ancora nella Polizia. È in quei poliziotti, che non ho più fiducia”.