La catena è sempre la stessa: un sms, poi subito dopo un messaggio su WhatsApp e, infine, una cascata di notifiche come se non ci fosse un domani. Un attacco hacker che ha preso il controllo dei cellulari di decine di giudici, riuscendo così ad intrufolarsi nei corridoi della magistratura contabile e a prendere possesso dei relativi cellulari.
Un’aggressione virtuale importante, tanto da spingere direttamente la Corte dei Conti a presentare una denuncia alla polizia postale per l’attacco subito nelle scorse settimane.
Attacco hacker ai magistrati della Corte dei Conti
Come riportato anche da Repubblica, nel mirino sono finite alcune delle utenze telefoniche assegnate alle cariche più importanti dell’organo che da una parte si occupa di controllare la regolarità degli atti vidimati dai ministeri e dall’altra di indagare su possibili danni causati all’erario da politici e dirigenti pubblici.
Insomma, questioni delicate, in quanto gli smartphone colpiti erano potenzialmente pieni di informazioni sensibili. La fase storica, poi, è quello che è: si pensi agli attacchi russi al Gse, che sono solamente l’ultimo esempio su tutti.
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Allarme a viale Mazzini: dati troppo sensibili
Il caso è sulla bocca di tutti a viale Mazzini, dove si trova la sede centrale della Corte dei Conti. Soprattutto a destare apprensione sono le modalità con cui l’attacco sarebbe nato: tutto è iniziato quando un gruppo di magistrati si è visto recapitare un messaggino con la richiesta di un codice a sei cifre. Prima l’sms, come dicevamo, poi tramite WhatsApp, le cui chat dovevano essere il vero obiettivo degli hacker.
Come è successo
E così, rispondendo alla richiesta, ecco che i malcapitati hanno dato inconsapevolmente il libero accesso alle proprie chat – scambi su questioni private e lavorative delicate – così come l’accesso ai numeri salvati in rubrica. Al momento delle prime chiamate tra colleghi per verificare l’autenticità dei messaggi, sono sorti i primi sospetti sulle chat. Ma era già troppo tardi per fare qualcosa e correre ai ripari.
I dubbi sulla gravità del fatto
Ora, dopo una pulizia completa dei cellulari, la situazione è nuovamente sotto controllo. Ma i danni effettivi, non si possono ancora calcolare. C’è chi è ottimista, e riduce tutto a un classico tentativo di phising a pioggia, solo casualmente toccato in sorte alla magistratura contabile.
Ma in fondo, soprattutto tra i giudici abituati a utilizzare WhatsApp per tagliare i tempi e scambiarsi documenti senza passare per il pc e la casella mail, c’è sempre il timore e la paura che qualche atto riservato possa essere finito in mani decisamente sbagliate.