Un’idea che sembra presa direttamente da un film di ultima generazione, di quelli visionari che sono in grado di anticipare le scoperte o le nuove frontiere della scienza. In realtà, però, si tratta di un progetto concreto che l’Unione Europea sta seriamente considerando: l’idea, cioè, di raccogliere energia solare direttamente dallo spazio.
Fotovoltaico spaziale: un’idea ambiziosa
A dichiararlo, negli scorsi giorni, è stato proprio Josef Aschbacher, direttore generale dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Il piano è estremamente ambizioso, già dalla sua teorizzazione, e dovrebbe apportare almeno due grossi benefici:
- la riduzione delle emissioni di CO2;
- l’incremento dell’indipendenza energetica dell’intera coalizione.
Dando uno sguardo agli studi preliminari – in parte già pubblicati nelle ultime ore – definire l’impresa ”titanica” sarebbe davvero riduttivo. Diamo una dimensione grossolana della portata dunque: per riuscire a produrre circa tra 1/4 e 1/3 del fabbisogno energetico annuale dell’Unione, che è pari a circa 3.000 TWh, servirebbero decine di satelliti di dimensioni enormi (come minimo dieci volte la massa della ISS, che sono 450 tonnellate) in orbita geostazionaria a 36.000 km di altezza.
Leggi anche: Impianto fotovoltaico in azienda: tipologie, incentivi e vantaggi
L’Europa ci pensa seriamente
Per lanciare nello spazio tutti i componenti necessari, per poi assemblare i satelliti, potrebbero servire migliaia di lanci di missili pesanti (o HLLV, Heavy-Lift Launch Vehicle), e chissà quanto tempo per l’assemblaggio (la sola ISS ha richiesto una decina di anni di lavori). Ma gli sforzi sarebbero nettamente ricompensati.
Di fatto, a parità di condizioni, un pannello solare in orbita ha un’efficienza doppia rispetto a uno sulla superficie della Terra. Ma non è di certo l’unico vantaggio: un’iniziativa così ambiziosa potrebbe funzionare da catalizzatore per un progetto serio di sviluppo di un razzo europeo riutilizzabile, concorrente diretto di SpaceX per intenderci.
Costi e tempi di realizzazione
I costi? Certo sarebbero esorbitanti e difficili da calcolare: siamo nell’ordine delle centinaia di miliardi di euro. Per non parlare del tempo – anch’esso è denaro come dice il vecchio detto – anch’esso difficile da calcolare per la realizzazione. Al momento, le previsioni parlano di almeno 4-6 anni per mettere in orbita il primo satellite. Tuttavia, per raggiungere l’obiettivo di dimensioni della flotta per il 2050 bisognerebbe incrementare di ben 200 volte la capacità di carico attuale.
Le idee contrarie
Tra i detrattori di questa idea, c’è proprio lui: Elon Musk, il quale possiede una società nel settore aerospaziale e anche altre attività nel fotovoltaico, ma che nonostante ciò ha definito il progetto “l’idea più stupida di sempre“. Forse teme una concorrenza sul mercato?
Il fisico Casey Handmer boccia l’idea
Fatto sta che a fargli eco, certo con un ragionamento molto più approfondito, cauto e scientifico, c’è anche il fisico Casey Handmer. Il concetto di fondo secondo lo scienziato: anche ipotizzando ai fini del discorso alcuni vantaggi e parametri estremamente difficili (se non impossibili) da raggiungere, il fotovoltaico spaziale semplicemente non è in grado di competere con quello terrestre.