Roma. La questione del termovalorizzatore di Gualtieri continua a spaccare la città, ma anche l’Italia tutta, che si chiede le ragioni del sì e le ragioni del no, spesso senza riuscire a trovare la quadra giusta per le argomentazioni. C’è da dire che il termine termovalorizzatore suona ormai quasi come un eufemismo: in realtà, sarebbe molto più ”onesto”, intellettualmente parlando, chiamarlo inceneritore. E in tal caso, la questione assume già una piega diversa.
Inceneritore sì, inceneritore no
Ma, al di là delle parole, che pure sono importanti, l’inceneritore ha aperto dei quesiti complessi ed intricati che rendono la faccenda molto offuscata ai più. Consentito dalle direttive europee o vietato? Indispensabile per superare lo sconcio della nostra città o perfettamente sostituibile con impianti alternativi? Ecosostenibile o un altro mostro dell’età post-industriale? E gli effetti sulla salute? Impiegato o meno dal resto dell’Europa? E in che modo?
Il termovalorizzatore di Roma, che il sindaco Gualtieri ha incardinato nel suo Piano rifiuti promettendolo ai romani per il Giubileo del 2025, sta accendendo una disputa che giorno dopo giorno sembra diventare sempre più incandescente. Eppure, si tratta di un inceneritore che converte il calore generato dalla combustione dei rifiuti in energia destinata ad altri utilizzi. Bruciare i rifiuti è ovviamente solo uno dei modi di trattarli: gli altri due, per grandi linee, sono il riciclo per recuperare materiali, e la discarica. Dunque, le strade sono poche ma evidenti. Cerchiamo di vedere più chiaramente la faccenda.
Leggi anche: Rifiuti Roma, il termovalorizzatore di Gualtieri rischia di saltare: l’ombra di una crisi di governo
Cosa ne pensa l’Europa?
Il fronte militante del no (che va da M5S ai Verdi e Sinistra italiana, dalla Cgil a Legambiente) fa notare, per prima cosa, che la combustione dei rifiuti non rientra nelle attività economiche ritenute “sostenibili” dalla Ue (quella che viene definita “tassonomia verde”). Per tale prospettiva, l’inceneritore rappresenta la negazione dell’economia circolare, che punta al recupero dei materiali.
Sempre il fronte del no, tra le sue argomentazioni, aggiunge che a partire dal 2026 chi userà i termovalorizzatori sarà tassato dalla Ue, ovvero dovrà acquistare crediti per compensare le emissioni clima-alteranti prodotte. Il fronte del sì replica che la Ue, pur non includendo la combustione dei rifiuti tra le attività sostenibili, in pratica finisce per considerarla indispensabile. Di fatto, se l’obiettivo europeo è riciclare il 65% dei rifiuti e gettare in discarica non più del 10, questo significa che il restante 25% dovrà necessariamente finire nei termovalorizzatori.
Ci sono alternative al termovalorizzatore di Roma?
Legambiente e Cgil sostengono che l’alternativa consisterebbe in un piano di rafforzamento della raccolta differenziata più stringente, rispetto a quello proposto da Gualtieri. Per passare dalla differenziata attuale di Roma (pari al 45,2%) all’obiettivo del 70% nel 2035 del piano Gualtieri, non bastano, secondo loro, gli investimenti in impianti previsti dal Piano di ripresa e resilienza, ma bisogna fare di più e incrementare l’ottimizzazione in tal senso. Inoltre, con tutti gli impianti già presenti e con una raccolta differenziata molto più ”spinta”, sostengono Legambiente e Cgil, si potrà ridurre al minimo la quota di rifiuti non riciclabili
Piano irrealistico, ad ogni modo, secondo i sostenitori del termovalorizzatore. Al massimo si può pensare di arrivare nel 2035 (con una differenziata del 70%) a ridurre la quota di rifiuti non riciclabili dall’attuale 59 al 43%. Abbatterla al 15% sarebbe assolutamente utopistico secondo questi ultimi.
Quel 43% di rifiuti non riciclabili significa 660 mila tonnellate l’anno, che non a caso coincidono quasi perfettamente con le 600 mila tonnellate di rifiuti che si prevede vengano bruciati dal futuro termovalorizzatore romano. Il quale sarà accompagnato, nelle intenzioni di Gualtieri, da altri quattro impianti: due per il secco e due per l’umido.
Il tutto avrà come risultato la fine della dipendenza di Roma da altri comuni e regioni, e l’abbattimento dei rifiuti in discarica dal 30% attuale a meno del 10% richiesto dalla Ue.
Il termovalorizzatore disincentiva la raccolta differenziata?
Chi sostiene tale teoria, fa indubbiamente affidamento sul comune buon senso: l’idea di bruciare i rifiuti comporta automaticamente un messaggio per cui differenziare e costruire impianti per il recupero sarebbe inutile. Con questo ragionamento, dunque, a Roma finirebbero per essere bruciati anche rifiuti perfettamente riciclabili.
Ma i sostenitori del termovalorizzatore affermano che le cose non stanno proprio così. Secondo alcune ricerche – affermano – e cioè che lì dove si usano di più gli inceneritori c’è anche una forte diffusione di raccolta differenziata. Si parla di Paesi come Germania, Belgio e Olanda, dove riciclo e recupero energetico tramite combustione vanno di pari passo. In aggiunta a ciò, secondo l’Ispra – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – in Italia negli ultimi dieci anni, pur essendo salita dal 16 al 19% la quota di rifiuti finiti negli inceneritori, la raccolta differenziata è raddoppiata.
Inquinamento e danni alla salute
La questione è semplice e netta per i sostenitori del no: “Non esistono inceneritori green, a emissione zero. Sarebbe un ossimoro o una contraddizione in termini”. Non è un caso, infatti, che l’Europa li abbia esclusi dalle attività eco-sostenibili. Ci sono poi studi che parlano di “presenza di inquinanti organici persistenti”.
“Non è così”, tuonano dall’altro fronte i sostenitori: “gli impianti di ultima generazione, se ben gestiti, hanno effetti praticamente nulli sia sull’ambiente che sulla salute. Il rapporto Ispra 2021 dice che nel trentennio 1990-2019, a fronte di un forte incremento dei rifiuti inceneriti in Italia, si è avuto un calo delle emissioni totali. Sparite le diossine e i metalli pesanti. In particolare, l’inceneritore di Torino ha rivelato lo stesso calo della concentrazione di inquinanti registrato nelle zone lontane dall’impianto”.
Come fanno le altre città europee?
Di recente, nessuna grande città – dichiarano i contrari all’inceneritore – si è dotata di un impianto del genere. Poi, il tanto decantato termovalorizzatore di Copenaghen, con la pista da sci sopra il tetto, è in crisi perché è costato troppo e ora non trova più rifiuti da bruciare, tanto che è costretto a importarli. Senza contare che la Danimarca non è l’unico paese che cerca di ridurre il ricorso agli inceneritori.
Ovviamente, ribatte il fronte del sì, chi parte da una situazione sicuramente migliore di quella romana, può permettersi ora di ricorrere meno alla combustione dei rifiuti. Tuttavia, l’ampia diffusione degli inceneritori in Europa è sotto gli occhi di tutti: 96 in Germania, 126 in Francia, solo 37 in Italia e nessuno a Roma. Dunque, inceneritore sì o inceneritore no?