Vendetta, tremenda vendetta. Ma, a volte, le vendette posso rivoltarsi contro. E colpire anche persone che non c’entrano nulla. Come nel caso di Martina T., la trentenne romana che accusò 3 amici di tentata rapina. Chiamò i carabinieri, che li arrestarono. Ma adesso il giudice ha condannato lei e i due carabinieri intervenuti, scaglionando del tutto i tre ragazzi.
La presunta rapina
I fatti risalgono al 2013. La ragazza si rivolse al 112 sostenendo di essere vittima di una rapina. Sul posto, a Roma, arrivò una pattuglia dei carabinieri. A bordo i militari Biagio R. e Massimo R., che ascoltarono il racconto della giovane. La ragazza, all’epoca 21enne, disse che tre ragazzi stavano tentando di rapinarla. I tre furono arrestati.
Il processo per gli amici
I tre amici, dopo la convalida dell’arresto, furono condannati in primo grado. Si fecero qualche mese di carcere. Ma, nel processo di appello, il giudice ha ribaltato la sentenza. Esaminando le varie carte processuali e i video portati dalla difesa dei giovani, il giudice ha dato ragione alla tesi avanzata dai ragazzi, ovvero che la ragazza li avesse denunciati per vendetta. I fatti, secondo quanto ricostruito, erano completamente diversi. La ragazza aveva infatti avuto una discussione con uno dei tre giovani, un polacco. Si erano immediatamente avvicinati i suoi due amici italiani, ma non per rapinarla, ma per capire cose stesse succedendo. Il giudice, a fronte delle immagini, ha assolto i ragazzi. E loro, che erano stati condannati in primo grado ingiustamente, hanno querelato per calunnia sia Martina che i carabinieri. E il processo è ricominciato, stavolta con altri imputati.
Sentenza ribaltata
Il processo per la 30enne e per i due carabinieri si è concluso a dicembre con una sentenza di condanna per Martina. Ma anche per i due carabinieri intervenuti, colpevoli di aver creduto alla ragazza e di aver proceduto all’arresto senza aver fatto opportuni accertamenti. Martina è stata condannata a due anni e otto mesi. Biagio R. a tre anni e 10 mesi. Massimo R. a due anni e dieci mesi. Il reato che viene contestato è quello di calunnia, falso e arresto illegale.
«Ritengo che non ci siano stati elementi sufficienti per condannare la mia assistita. Ci sono state troppe lacune nella ricostruzione da parte dell’accusa. C’era un buco temporale nelle telecamere che sono state analizzate. Per questo avevo richiesto l’assoluzione», ha dichiarato l’avvocato Alessandra Pietrantoni, difensore di Martina. Il legale ha già presentato il ricorso in appello, dove spera che le ragioni della ragazza vengano accolte.