E’ uscita dall’incubo solo da due giorni, dopo che i carabinieri hanno arrestato l’uomo che per anni, invece di amarla e proteggerla, la massacrava di botte. E che lei aveva trovato il coraggio di denunciare soltanto dopo che la situazione era degenerata in modo irreversibile, coinvolgendo le loro figlie minorenni. Infatti lui, pugile 35enne originario di Cagliari ma residente a Ladispoli, prendendo il telefono della compagna e guardando a sua insaputa cosa c’era all’interno, ha visto alcune foto che ritraevano una delle figlie abbracciata a un ragazzo.
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Massacrata di botte perché la figlia si era fidanzata
La cosa, come prevedibile, gli ha per l’ennesima volta fatto salire la rabbia, sfogata inizialmente contro la donna, ancora una volta costretta a subire le brutali percosse del 35enne, e poi contro le figlie. Ma il giorno dopo si è recata dai carabinieri per raccontare tutto. E adesso, finalmente libera dall’incubo, eccola qui, a raccontare nei particolari la sua storia di vittima di un uomo che per 13 anni l’ha maltrattata e picchiata con calci, pugni e cinghiate.
Calci, pugni e cinghiate: 13 anni di violenze, il racconto della vittima
Tutto accade a Ladispoli, dove i due vivono con le loro bambine. Apparentemente si tratta di una famiglia normale, una bella coppia con due figlie. Ma non è così. Lui è un violento, che per un nonnulla picchia la compagna. “In questi giorni – racconta Francesca (nome di fantasia, ndr) leggendo articoli di giornale con notizie parziali rispetto a quello che mi è accaduto, ho riflettuto su come ancora oggi, nel 2022, la voce di noi donne vittime di uomini violenti non è ascoltata. Potrei scrivere un libro sulle torture fisiche e mentali a cui mi ha sottoposto per ben 13 anni quella bestia!”
Perché non ha denunciato prima?
“È vero, sono stata sciocca a non farlo, ad aver subito tutto questo, ma lui mi aveva annullata come donna e come persona. Mi faceva sentire una nullità e continuava a minacciare di far del male alla mia famiglia se non accettavo i suoi soprusi”.
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La mandibola rotta per un piatto di pasta che non gli piaceva
Cosa le faceva?
“Mi ha rotto la mandibola per ben due volte per una banalità: un piatto di pasta che non gli piaceva. Volavano pugni, calci e cinghiate e cose che non riesco neanche a descrivere. Ho pensato che finché avesse continuato a sfogare la sua rabbia su di me, non avrebbe fatto del male ai miei genitori e soprattutto alle mie bimbe. Non ho mai avuto il coraggio di denunciarlo, mi faceva sentire come se non valessi niente, mi chiamava fallita, puttana, merda, cornuta e in tanti altri modi irripetibili. Poi tutto è cambiato”.
Le cinghiate alle figlie minorenni
“Non gli bastavo solo io per sfogare la sua crudeltà – prosegue Francesca – e per una foto ha scatenato la sua furia sulle bimbe prendendole a cinghiate. E dopo mi ha obbligato a spogliarmi e ha iniziato a torturarmi fino a farmi perdere i sensi: ecco, lì ho pensato che da quella casa sarebbero uscite tre bare. Appena ci è stato possibile la notte siamo scappate scalze, non abbiamo aspettato neanche un attimo in più per infilarci le scarpe. Siamo scappate e finalmente ho trovato il coraggio di denunciare, perché se di me ha fatto un rottame di donna, le mie figlie non si toccano”.
L’uomo, nell’estate del 2020, insieme al fratello e al cognato aveva aggredito fisicamente un ex componente del loro gruppo di amicizie, colpevole, a loro dire, di aver messo in guardia alcune ragazze dal frequentarli, malmenandolo selvaggiamente e causandogli la perdita di un occhio, fatto per il quale era stato poi condannato in via definitiva a 3 anni di reclusione, ma nonostante questo era a casa.
“Vi chiedo di aiutarmi a far sentire la mia voce. Una persona così non può essere libera di continuare a fare del male: ho vissuto con una bestia. Se torna libero mi ammazza”, conclude Francesca.