Di lui non si sa molto, se non che ha 16 anni, da qualche giorno è seguito da uno psicologo, e che sicuramente non avrebbe mai parlato a nessuno di quello che è successo quella sera, se ingenuamente non si fosse spogliato davanti alla madre mostrandogli, involontariamente, i segni di quello che era accaduto.
Marco – nome di fantasia – 16 anni, vive a Cuneo, è un adolescente come tanti altri e come tanti altri – troppi purtroppo – è rimasto vittima della superficialità dei suoi compagni, gli stessi che qualche settimana prima avevano partecipato alla festa di Carnevale organizzata a casa sua.
Erano in gita a Roma, una serata come le altre, ma con un elemento in più, quel liquore all’amaretto che dà alla testa e che non viene retto bene da Marco che, sentendosi intorpidito, decide di accasciarsi a letto e addormentarsi, mentre i suoi compagni, nel frattempo, stabilivano di approfittare della situazione per farsi due risate. Si sono divertiti utilizzandolo come un pupazzo, approfittando del fatto che dormisse molto profondamente, imbrattandolo con Nutella e schiuma da barba, depilandolo e addirittura bruciandogli alcuni punti delle gambe con uno Zippo, uno di quegli accendini da fumatori adulti incalliti che in mano a dei sedicenni fa tanto “duri”, quanto idioti, in questo caso. Quello che vi ho appena descritto è un atto grave, stupido, compiuto da adolescenti superficiali, quello che segue mi ha colpita molto più della vicenda in sé.
La mamma di Marco, dopo essere riuscita a farsi raccontare dal figlio l’accaduto e dopo aver visto le immagini riprese con il telefonino del ragazzo, il mattino dopo, ha denunciato il fatto al professore responsabile della gita e ovviamente, dopo ciò, non è tardata la convocazione della preside che ha ritenuto giusto punire tutti i partecipanti al gesto con un 4 in condotta e 15 giorni di sospensione. Anche Marco è stato punito con un 5 in condotta; giustissimo per la madre del giovane, anche lui ha sbagliato.
Fin qui, giustizia sembrerebbe fatta, se non fosse che la punizione non sia stata presa bene dai genitori dei ragazzi e addirittura, qualche giorno dopo, alcuni di loro si sono sentiti autorizzati a contattare “La Stampa” dichiarando che si era creato un caso dal nulla, su uno scherzo sicuramente “pesante”, ma lontanissimo da un atto di bullismo. Lo scandalo, quindi, per loro, non deriva dal gesto compiuto dai pargoletti, ma dal fatto che quest’ultimi rischino di perdere l’anno per una “ragazzata”.
Ricapitolando: gita, bevono alcolici perché fa figo, uno di loro non regge l’alcol e si addormenta ubriaco. Per divertirsi, gli altri, anche loro ubriachi, decidono di imbrattarlo, mettergli cibo nelle mutande, lo depilano e lo bruciano con un accendino, provocandogli scottature profonde, riprendono tutto con un cellulare.
La preside viene a conoscenza di tutto e interviene, giustamente, punendo non solo per l’aver fatto uso di alcolici in un contesto pur sempre scolastico, ma anche che l’aver deriso, umiliato, ustionato un compagno. Sinceramente? Non ritengo che la sospensione sia esagerata, tutt’altro, ma soprattutto penso fermamente che i genitori tali debbano essere, soprattutto in situazioni di questo genere. Che intendo? Troppo spesso ci ritroviamo dinnanzi a madri e padri che difendono i figli a spada tratta, anche senza appurare la verità dei fatti; assurdo.
Beh, io non sono madre, io non posso capire – così diranno molti di voi, giustamente – io non devo giudicare, ma in questo caso voglio basarmi su come si sarebbero comportati i miei genitori, se avessi preso parte ad una “ragazzata” di questo tipo. Loro, sono certa, a prescindere da ogni dettaglio di questa storia, non avrebbero sindacato la scelta della preside – almeno, non in mia presenza – e anzi, l’avrebbero appoggiata, spiegandomi il perché e aggiungendo, più che sicuramente, due grossi calci dritti, dritti nel culo.
È per questo che, nonostante non abbia ancora provato il privilegio di diventare madre, mi vergogno per questi genitori così superficiali e affermo con certezza che per quanto mi riguarda, se mio figlio avesse fatto qualcosa del genere ad un suo coetaneo, sicuramente non avrei giustificato il gesto né tantomeno avrei contatto giornalisti o provato a far ricorso sminuendo l’accaduto, non solo agli occhi dell’opinione pubblica – che vabbè – ma cosa più grave, dinnanzi a quelli di mio figlio.
Mi sarei “limitata” a scusarmi in aramaico con la famiglia del giovane, con il giovane stesso, e dopo ciò, delusa e sicuramente incazzata, avrei spiegato a mio figlio che chi sbaglia deve saper prendere consapevolezza del suo errore, pagandolo, non voltandogli le spalle.
Vergogna.
Alessandra Crinzi
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