È proprio vero, alcuni giornalisti pur di far notizia sarebbero capaci di plasmare anche il Padre nostro facendoci credere che non è nei cieli, ma a Milano, in Corso Buenos Aires, da Zara.
Comunque, visto che mi sono stufata dei passaparola, curiosa come una scimmia e dopo aver sentito parlare per giorni dell’intervista scandalo fatta a Dolce&Gabbana, ho acquistato Panorama e l’ho letta per intero, rendendomi immediatamente conto che, come al solito, ci si è concentrati solo su cinque righe di centocinquanta, tralasciando tutto il resto, magari rilevante, magari no, al fine della comprensione totale del punto di vista altrui, che rimane condivisibile o meno, ma pur sempre un’opinione personale.
In sintesi quello che ha scatenato il putiferio:
Domenico Dolce si dichiara contrario alla procreazione in vitro utilizzando dei termini che effettivamente possono essere considerati tosti: “figli sintetici, uteri in affitto, genitori scelti da un catalogo”; m’è venuto subito in mente il Postal Market. Motiva il suo parere sostenendo che gli psicologi non sono ancora in grado di affrontare gli effetti di questa sperimentazione e che in un futuro un bimbo in vitro potrebbe anche chiedersi chi è realmente la sua mamma biologica. Alla domanda “Avreste voluto essere padri?” Stefano risponde sì, Domenico risponde il contrario. Motiva sostenendo che è giusto privarsi di qualcosa, ma soprattutto pensa che la vita abbia un suo percorso naturale e certe cose non vadano modificate, tra queste la famiglia.
Dopo aver letto i titoli sul web, i relativi commenti del popolo imbestialito e non, e dopo aver chiesto parere a persone che conosco, sono arrivata ad alcune conclusioni che mi fa piacere condividere con voi.
In primis e a prescindere da questo caso, esistono dei giornalisti che meriterebbero di lavorare solo con la D’Urso o al massimo come inviati in spiaggia per il solito servizio annuale di Studio Aperto sulla tonicità/flaccidità dei culi degli italiani. Spesso m’imbatto in titoli che corrispondono solo in parte agli articoli che vanno a rappresentare e molti professionisti del campo – purtroppo – si caratterizzano per la totale incapacità di inserire le frasi all’interno dei contesti che le hanno messe al mondo , spinti solo dal “far notizia a tutti i costi”, o nel caso web, dall’accumulare click, visualizzazioni, mi piace e bla, bla, bla.
Dati di fatto: a quanto pare a Stefano Gabbana piacerebbe avere un figlio, forse due, a Domenico Dolce fottesega. Si sono lasciati da anni, ma rimangono legati da forte sentimento che li vede ancora complici, colleghi e grandi amici. Rapporto invidiabile, senza ombra di dubbio. Personalmente il mio ex non lo sento nemmeno per gli auguri di Natale – al pensiero mi viene l’orticaria – figuriamoci se dovessi lavorarci a stretto contatto.
Elton John, dopo aver letto l’intervista, ha scatenato l’inferno, gli è presa una carogna che nemmeno Jack Nicholson in Shining, e s’è arruolato nell’Isis, questo perché ha visto definire i suoi figli “sintetici”. Da qui nasce la creazione dell’hashtag #boycottDolce&Gabbana che sinceramente mi ha fatto morire dal ridere perché il 40% della popolazione mondiale, al massimo, #buyH&Mclothes, l’altro 40% non ha né mutande né lacrime per piangere e solo il restante 20 % può permettersi di acquistare un ombrello da 595 euro. Sì, avete letto bene; ombrello = tanti soldi (vedi shop online della firma in questione).
Dopo ciò, Stefano Gabbana ha risposto impulsivamente ad Elton dandogli del fascistone – facendo drizzare le orecchie al cadavere di Mussolini e anche a Forza Nuova che per l’occasione ha regalato ad entrambi gli stilisti una tessera ad honorem – e creando di conseguenza l’hashtag #boycottEltonJohn, che, pensavo, potremmo prendere per buono e utilizzare anche in Italia; dopo Sanremo avrei qualche nome da suggerirvi. Se avete bisogno sapete dove trovarmi.
In conclusione: pare che in questi giorni la disoccupazione giovanile italiana non sia diminuita, che al Governo siano sempre presenti i non eletti che decidono per noi – e pure male – e che quella di D&G, voluta o meno, potrebbe risultare una delle campagne pubblicitarie più riuscite degli ultimi dieci anni.
Che sia bene o male, l’importante è che se ne parli, ma a parte questo, pensavo: a Gennaio non eravamo tutti Charlie?
Alla prossima,
Alessandra Crinzi
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