La nuova giustizia
Negli ultimi mesi ho notato un fenomeno in netta crescita, in relazione a fatti di cronaca, politica, economia o semplice gossip: l’attacco al “colpevole” di questa o quell’azione, che per la maggior parte delle persone presenti sui social viene ritenuta sbagliata e, dunque, punibile.
Una devastante ondata di insulti online, una bolla di indignazione digitale. E la distruzione, conseguente, delle rispettive carriere professionali e personali.
Devo ammettere che provo disagio anche di fronte a quello che potrebbe essere un carnefice, quando diventa vittima di una giustizia messa in pratica in piena piazza e senza difesa alcuna.
La punizione pubblica nel Medioevo
Durante il Medioevo nelle piazze veniva allestita la “gogna”, la vittima imprigionata mani e piedi era esposta alla folla: mortificata, umiliata e in balia delle persone per ore, a volte per giorni.
Bersaglio delle tensioni sociali, gli si imbrattava il viso, i capelli oppure lo si colpiva con frutta e verdure marce, addirittura ci si divertiva a solleticarlo.
Spesso il “criminale” portava un cartello appeso al collo con la descrizione del delitto commesso, per essere facilmente riconosciuto.
Non ci sembra di essere ritornati in piazza ai tempi dell’indignazione collettiva?
La punizione pubblica social
I social stanno tirando fuori i peggiori istinti moralizzatori: tutti sanno come andrebbe punito il criminale, tutti hanno le migliori soluzioni per sconfiggere il male della società.
Ma come applicano la “legge” i nuovi giustizieri? Come nel Medioevo: mettendolo di fronte alla massa che ne decide le sorti.
Il malcapitato di turno sfila su tutte le bacheche, si pubblica nome, cognome, città e ogni altro tipo di informazione “spogliandolo completamente in pubblico”. Parte la gogna fatta di insulti e si allarga alla famiglia, agli amici e chiunque sia vicino alla persona che ha commesso un errore.
Si definisce Public Shaming letteralmente “vergogna pubblica”.
Aumento in pandemia
Il lockdown ha costretto la maggior parte delle persone a dover passare molte ore in rete, mentre la testa si riempiva di preoccupazioni e le emozioni spingevano per venire fuori: rabbia, tanta rabbia.
Non si tratta di un problema provocato dai social, ma di una serie di frustrazioni che trovano sfogo attraverso la rete e si nutre crescendo a dismisura. Il Medioevo ci insegna quanto le dinamiche di indignazione collettiva e sfogo delle tensioni siano sempre esistite, ad oggi la piazza è diventata virtuale.
Quanto sono cambiate le reazioni di fronte a foto di viaggi? Prima del Covid19 il viaggio si condivideva con orgoglio per le proprie esperienze, con la pandemia si attacca il viaggiatore e lo si etichetta come diffusore di nuove varianti.
Differenze con gli haters
La sentenza del tribunale online è immediata, non lascia possibilità di replica, nessun difensore: il dito accusatorio di centinaia, migliaia di utenti che emettono la condanna e nessuno ascolta un’altra voce.
Il classico hater su internet dà sfogo ai suoi commenti, ma fuori dal web cambia comportamento. Chi impone questa “vergogna pubblica” sembra invece mantenere la propria posizione anche all’esterno, convinto della propria ragione.
Tra familiari, amici e colleghi che ragionano secondo il pensiero di gruppo: “o con noi o contro di noi” con tutta una serie di discriminazioni, come il cartello appeso al collo ai tempi del Medioevo.
Diamoci una calmata
Non siamo un tribunale e nessuno di noi può condannare con il semplice ditino sul tasto del cellulare. Quando la faccia del “criminale” passa su tutti i nostri profili, corredata da dati personali, stiamo uccidendo la privacy e non solo; magari la “tempesta” tra qualche mese andrà nel dimenticatoio, e ritornerà una persona “libera”. Per cui, avremo solo perso tempo sfogando rabbia, che peraltro ritorna indietro.
Inoltre, le foto scattate a chi non rispetta le regole, non tenendo conto che ci
possono essere anche dei minori, sono un reato: in quel momento ci si sente giustizieri e reporter d’eccezione, ma potremmo beccarci una denuncia.
A chi serve, poi, un atteggiamento di questo tipo? Noi restiamo arrabbiati, i fatti non cambiano.
Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it
Vi aspetto.
Dott.ssa Sabrina Rodogno