L’ultima scintilla l’ha scoccata il 4 ottobre. Giuseppe Mirante, elettrauto di riferimento a Dragona, è morto a 68 anni. Ha lottato per 11 anni contro un tumore alla prostata. “I medici gli avevano dato 10 anni di vita – racconta il figlio Alessandro –. Ma ha combattuto questo male con una forza pazzesca”. Aveva da qualche tempo lasciato il negozio in via Casini per curarsi. Ora lì c’è un centro scommesse, ma quel luogo rimane nella storia: immortalato in un celebre film con Renato Pozzetto. Quello girato nel 1980 Zucchero, miele e peperoncino, dove l’ingresso dell’elettrauto compariva in una delle scene della pellicola. Ma Giuseppe è conosciuto anche per il suo impegno nella comunità.
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Giuseppe Mirante e l’impegno contro il Covid
Durante il primo lockdown, Giuseppe, nonostante la malattia, si è impegnato per la comunità. “L’anno scorso, in piena pandemia, abbiamo messo a disposizione dei locali di nostra proprietà per lo stoccaggio alimentare e la distribuzione degli alimenti – racconta il figlio –. Così la Croce Rossa poteva aiutare con la “spesa sospesa” chi era più in difficoltà. Fondamentali sono stati Jacopo Innocenzi e la direttrice dell’organizzazione di volontariato”. Il padre cercava di essere presente. “Non aveva la forza, ma veniva e controllava. Era sotto chemioterapia”. Tutta la famiglia Mirante si è attivata per aiutare i più deboli, compresa la moglie Antonietta e la figlia Francesca. Lasciando un ricordo indelebile.
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“Ha avuto il tempo di vedermi laureare”
“Solo chi ha avuto il piacere di conoscerti sa quanto eri bravo”, scrive Pietro Walter su Facebook. Giuseppe era amato da tutti. Una pioggia di commenti ha invaso il post di condoglianze scritto da Jacopo Innocenzi. “È bello sentire parole di grande stima nei tuoi confronti – scrive la cugina Rita –. Hai lasciato dei buoni ricordi”. Prima di andarsene, l’elettrauto di Dragona ha avuto il tempo di vedere la laurea del figlio. “Mi sono laureato a maggio alla facoltà di ingegneria robotica della Sapienza di Roma – racconta Alessandro –. Ora lavoro a Reggio Emilia come ingegniere e la mia azienda collabora con la Ferrari”. Giuseppe ne era orgoglioso: “Agli amici diceva sempre: ‘Mio figlio lavora in Ferrari’ – prosegue il figlio tra le lacrime –. Per me è stato un eroe”.